Grande attesa al Gubbio Doc Festival per la tappa umbra del concerto celebrativo dei trent’anni di carriera degli Afterhours. A parlarci di quella che è riconosciuta quale una delle band simbolo della musica indipendente italiana è il violinista Rodrigo D’Erasmo
di Francesca Cecchini
Risale al 1987 My bit boy il 45 giri che segnò il debutto discografico degli Afterhours. A distanza di trent’anni la band celebra il proprio percorso artistico con un tour che ripercorrerà le tappe principali del viaggio musicale che li ha portati ad essere tra i gruppi italiani più noti ed amati su territorio nazionale da differenti generazioni di pubblico. Tra vecchi e nuovi successi, Manuel Agnelli (voce e chitarre), Roberto Dell’Era (basso), Xabier Iriondo (chitarre), Stefano Pilia (chitarre), Rodrigo D’Erasmo (violino e tastiere) e Fabio Rondanini (batteria) approderanno in Umbria, al Gubbio Doc Festival, il prossimo 5 agosto. In scaletta non solo brani noti, ma anche canzoni inconsuete per i live proposti ultimamente, rispolverati per l’occasione, a volte riarrangiati. A spiegarci qualcosa in più su cosa sulla storica band è il violinista Rodrigo D’Erasmo, nel gruppo dal 2008. “Non ci focalizzeremo su un periodo in particolare. Abbiamo preparato una scaletta il più possibile completa ed apprezzabile sia dai fan della prima ora che da quelli dell’ultim’ora”.
Avete dichiarato che con questi concerti intendete “chiudere un cerchio, dei periodi e aprirne di nuovi”. Cosa accadrà, dunque, agli Afterhours?
“Questo lo vedremo vivendo proprio questo tour e prendendoci, poi, uno stop di cui abbiamo molto bisogno, sia per ricaricare le pile, per riposarci, che per vivere quelle esperienze che ti permettono di avere di nuovo voglia, curiosità e urgenza di comunicare, caratteristica di una fase di ricerca necessaria per comporre qualcosa di nuovo, ma con il dovuto tempo. Come anche la storia degli Afterhours racconta, infatti, non abbiamo mai fatto dischi come “una catena di montaggio” per poi andare in tour. Il tempo, infatti, che intercorre tra un album e l’altro la dice lunga in questo senso. Mediamente sono quattro anni. Consideriamo che l’ultimo è uscito l’anno scorso e, come ti dicevo, credo la pausa sarà molto lunga.
Lei entra a far parte della band nel 2008. Come avviene l’incontro?
È arrivato per caso, per una serie di incastri di amicizie e di stime reciproche. In quel periodo stavo suonando con Cesare Basili, artista siciliano straordinario con cui ho avuto l’occasione e il piacere di collaborare per tanti anni. Era prima dell’inizio dell’estate e quello è un momento di “calciomercato” per la musica. Iniziano le partenze dei tour e può capitare ci siano occasioni di cambiamenti di formazione. In quella fase stava andando via dagli After Dario, il mio predecessore, e Cesare fece il mio nome. Disse alla band che c’era un ragazzo molto interessante e li invitò a prendermi in considerazione. Gli Afterhours vennero a sentire un concerto che facemmo proprio con Basile a Milano e alla fine del live mi chiesero di entrare nel gruppo. Io – scherza D’Erasmo – mi sono preso un pochino di periodo di riflessione… ma non troppo. Ho un ricordo molto forte di quel momento. È stata una grandissima gioia.
Gli Afterhours iniziano a calcare la scena trent’anni fa con un’etichetta indipendente torinese, la Toast Records. Secondo lei, ai nostri giorni, questa crescita delle indipendenti giova ai musicisti di nuova generazione?
Credo che, a parte rarissime eccezioni, la struttura importante sia fondamentalmente di aiuto per gli artisti che hanno già un’identità, che hanno già una coscienza professionale, e, quindi, usano la potenza di una grande realtà per potenziare, appunto, il loro lavoro. Chi inizia credo necessiti una certa libertà e velocità d’azione che probabilmente si riscontra molto più in una etichetta “piccola” e indipendente. Un’etichetta, comunque, che esiste già da qualche anno e che, quindi, ha una sua dignità, mantiene quel livello di autonomia dal mercato che le permette di essere semplicemente più efficace in quel momento. Sono situazioni diverse. Non c’è un pro e un contro nell’appoggiarsi ad un’etichetta indipendente. Dipende da che tipo di artista sei e da quale tipo di progetto stai portando avanti.
Sua madre è brasiliana, suo padre pugliese. Mi incuriosisce molto, considerando i vari strumenti musicali caratteristici delle due culture, come mai ha scelto proprio il violino…
Mi sono appassionato allo strumento sin da piccolo. Quando avevo quattro anni mi incuriosiva, anche esteticamente, mi appassionava. Ho però iniziato tardi, per quello che sono gli standard, a suonarlo perché causa i vari spostamenti e viaggi di famiglia non ho avuto occasione di trovare un maestro fino ai nove, dieci anni.