di Francesca Cecchini
“Non si conoscevano neppure, eppure non ebbe la forza di tirarsi indietro. Si sentiva una mendicante, se ne vergognava, ma aveva bisogno di quel contatto deciso e rassicurante”. Passando per i vicoli bui di Valentina incrociamo fessure e crepe che caratterizzano anche i nostri
Immaginiamo di avere un contenitore che riesca a raccogliere il nostro dolore. Un dolore di quelli “importanti”, che ti segnano, che ti rendono un uomo vagante che passa la sua giornata solo perché deve e non perché la vive realmente. Una bottiglia che riesca a risucchiare dentro tutte le nostre emozioni e ad avvolgerci tanto da tenerci al riparo in un mondo tutto nostro, parallelo, se vogliamo, in cui una volta entrati è difficile uscire e nel quale nessun’altro, anche per “motivi di spazio”, riesce a penetrare. “Che poteva capitare a qualcuno che faceva di tutto per non far accadere niente?”, questo si chiede Valentina, la protagonista de “La ragazza in bottiglia” (Piccola Casa Editrice), libro di Sara Allegrini, e di questo piccolo mondo pronto ad implodere nonostante lei non voglia. Lì, chiusa nella sua bottiglia dove “Le giornate trascorrevano identiche e sfilacciate. Si svegliava e non vedeva l’ora di tornarsene a letto. La sua vita era già finita. O almeno Valentina credeva così”. Ma lei, Valentina, in questa esistenza robotica, in cui tutti la prendevano per “pazza”, non riconoscendo in lei l’amarezza, la tristezza e la sofferenza di grandi perdite, chiusa nel suo piccolo cerchio emozionale, era costretta ad affrontarla la sua routine. Tanto giovane eppure già privata di tanto, già oppressa da quel senso di mancanza che un’adolescente non dovrebbe sostenere, guardata a vista perché presa per una un po’ fuori di testa, di quelle che ogni tanto fanno qualche gesto strano e buffo che fa ridere (e rabbrividire) tutti e che, invece, rappresenta, forse, uno di quei rari momenti in cui si prova ad avere un contatto con la realtà, una ricerca di attenzioni che urla “Ci sono! Sono qui ma ho paura”, una mano tesa a scuotere il quotidiano che nessuno riesce ad interpretare come tale e a stringere.
La perdita è quella “cosa” che arriva all’improvviso, quando meno te lo aspetti. Ti colpisce dritto al cuore e ti toglie il respiro e tu non puoi far altro che stare lì a guardare impotente mentre tutto scivola via. Non sempre si riesce a reagire, soprattutto quando le persone accanto a noi sottovalutano quello che sta accadendo e, credendo che tutto passa, prima o poi (anche se quel poi si allunga tanto da perder il conto dei giorni, dei mesi, degli anni), ci lasciano vivere quel senso di abbandono che, non condividendo con noi, ti segna per tutta la vita, spegne l’interruttore del sorriso. Il dolore del veder andar via qualcuno che ami non andrebbe preso con semplicità perché ogni volta che perdi quel qualcuno, perdi un pezzo di te stesso e ritrovare la via per ricongiungere anima e ragione è un viaggio lungo e contorto.
Valentina è disillusa, sola, convinta di non aver più nulla per cui valga la pena di aprirsi al mondo, non può e non vuole riprendere la sua vita in mano ma, a volte, per fortuna, il destino, o chi per esso, se vogliamo chiamiamolo caso, pone lungo il tragitto qualcuno che di sensibilità ed empatia ne ha ancora qualche briciola nel cuore. E quel qualcuno, che nelle pagine del libro è rappresentato da Valerio, se lo lasci entrare, può riuscire a toccarti, a farti tornare umano, può essere in grado di prendere quello che era una di “quelle inutili navi di legno in bottiglia”, quello che era “un soprammobile impolverato” e rimetterlo in mare. La distesa d’acqua che appare all’orizzonte è immensa e trovare la giusta via non è semplice, ma avere qualcuno che ti “rimette in carreggiata” è già metà del viaggio. Un viaggio che si credeva non si sarebbe mai più intrapreso. E la speranza torna, toglie il tappo, ti fa vedere che il sole sorge nonostante tutto e che si può uscire allo scoperto e farsi scaldare il viso, le mani, il corpo, il cuore.
Il libro di Sara Allegrini è composto da circa 130 pagine che una volta iniziate a leggere si finiscono in una sola giornata. Scorrono veloci, fluide e ci raccontano di lei, della ragazza nella bottiglia, di noi, di tutti quelli che conoscono il dolore di una perdita, e vogliamo saperne di più, pagina dopo pagina. Vogliamo capire se Valentina può esser aiutata e la speranza di “salvarla” diventa la speranza di “salvare” noi stessi. Se si riesce a chiudere il cerchio del passato si possono aprire gli occhi, si può prendere una penna in mano e iniziare a scrivere un nuovo capitolo, una nuova storia, la sua, la nostra, che non si sa dove ci condurrà ma che, probabilmente, non ci riporterà all’interno di un piccolo contenitore di vetro.