di Sara Goretti

Molte le aziende vinicole pronte a scommettere sui metodi alternativi di imbottigliamento, ma la tradizione ha sempre il suo fascino. Viaggio tra storia e innovazione alla scoperta degli aspetti organolettici e guastativi del vino

Potremmo definirlo lo scontro più acceso nel mondo vino: la scelta, obbligata, del miglior tappo. Tappo in sughero, tappo sintetico, a vite o corona (screw cap), a strappo ed anche di vetro. Ogni tipologia ha le sue caratteristiche peculiari, ed è difficile capire quale sia la scelta migliore. Il sughero da sempre rappresenta il miglior materiale per la tappatura del vino, il tappo per antonomasia, tradizione e fascino. Storicamente utilizzato per i suoi caratteri straordinari: impermeabilità, elasticità e presenza di microporosità naturali che consentono una lentissima ossigenazione del vino senza, in condizioni ottimali, consentirne il deterioramento. Proprio tale micro-ossigenazione consente la migliore evoluzione delle qualità organolettiche del vino, almeno finora questo è il pensiero dominante. Tuttavia nel caso di un sughero naturale “difettoso” la conseguenza più comune è la percezione del “vino che sa di tappo” legata alla presenza di un fungo che infesta le radici della pianta di sughero. Alcune stime parlano di un’incidenza che va dall’1 al 15% delle bottiglie coinvolte in tale difetto, anche se è molto complicata una reale stima. È anche vero che l’evoluzione tecnologica ha consentito lo sviluppo di tappi con qualità che riducono al minimo il rischio infiltrazione. Resta il fatto che il sughero ha raggiunto negli anni prezzi importanti, e per affrontare il problema all’inizio degli anni ’90 alcuni produttori unirono i loro sforzi ed iniziarono ad utilizzare chiusure mai adoperata prima.
I tappi sintetici, per esempio, realizzati da circa 15 anni, solo nell’ultimo quinquennio hanno preso molto più mercato. Costituiti con polimeri termoplastici, presentano molti punti forza: sono sterili (le muffe non possono intaccarli), sufficientemente isolanti (garantiscono quindi una costanza nelle caratteristiche del vino per un tempo ragionevole) e inoltre non si sgretolano. Vengono utilizzati soprattutto per i vini il cui consumo avviene entro un paio di anni. Altra tipologia è quella del tappo a vetro, sempre più apprezzato per i caratteri specifici di questo materiale, perfettamente sterile, immune all’azione del tempo, totalmente ermetico, ecologico e facile da stappare. I difetti si riscontrano nel prezzo, i tappi di vetro hanno infatti lo stesso costo dei tappi di sughero di migliore qualità. Questo limite ne impedisce un uso abbordabile per le piccole cantine.
Il tappo a corona o crown cork invece ha una storia di più di due secoli alle spalle. E’ il classico tappo utilizzato per le bevande frizzanti. A causa della sua ermeticità di chiusura mantiene la pressione dei gas, per questo motivo è spesso utilizzato per le bottiglie di spumante. Di certo è la soluzione più economica tra tutte le tipologie.
Il tappo che invece sta riscuotendo le “migliori critiche” negli ultimi tempi è il tappo a vite o screwcap, ormai tecnologicamente molto avanzati. La conformazione di questo tappo (una capsula esterna in alluminio, una guarnizione interna alla capsula che rappresenta un isolante formato dalla stratificazione di diversi materiali, polietilene, stagno e pellicola alimentare in resina sintetica, che garantisce assenza di contaminazioni) garantisce sempre più, con l’evoluzione degli ultimi anni, una micro-ossigenazione adeguata al processo di invecchiamento del vino, per questo motivo sono in molti oggi ad adottare tale soluzione anche per vini importanti. Proprio per tale tipologia, negli ultimi tempi, il dibattito sulla scelta della “migliore tappatura” si è fatto sempre più vivace.

In Italia la questione è delicata e contrastata. La scelta oggi è molto variegata, se per i vini con classificazione da tavola o IGT l’uso del tappo sintetico o dello screw cap o a vite è un’abitudine che si è consolidata da qualche anno senza lasciarci scandalizzati, cosa diversa invece è per i vini a denominazione DOC e DOCG. L’associazione immediata di tutti gli appassionati di vino è “tappo di sughero = vino di qualità”. Al tappo di sughero è legata inoltre tutta la gestualità tipica della sommellerie, la preparazione della bottiglia ed il rituale dell’annusare il tappo appena stappato al fine di garantire l’integrità olfattiva, la piacevolezza tattile. In Italia il legislatore ha dato uno scossone alla supremazia del sughero con un D.L. del settembre 2013 che ha, nella sostanza, sdoganato l’utilizzo del tappo a vite anche per i vini DOCG, per i vini quindi che rappresentano la qualità più elevata, almeno sulla carta. Quella che molti hanno inteso come una rivoluzione copernicana è la previsione dell’utilizzo dei tappi a vite anche per i vini a denominazione di origine controllata e garantita. In tale senso il decreto ha demandato ai vari consorzi di tutela la possibilità di regolamentare la modifica dei disciplinari. Sarà questo il punto di non ritorno? Intanto tradizione e innovazione scontinuano a scontrarsi. In realtà in merito a tale contrapposizione, che potremmo definire ideologica, le motivazioni più consistenti che stanno portando molte aziende vinicole a propendere per il tappo a vite in alternativa, o almeno congiuntamente al tappo di sughero, sono principalmente legate agli aspetti organolettici e gustativi dei vini. In diverse degustazioni, soprattutto di vini bianchi, in cui sono stati contrapposti gli stessi vini delle stesse annate con le due tipologie di tappi le dinamiche espressive che sono state riscontrate sono a favore di quei vini con tappi a vite. L’andamento si è sviluppato in un primo momento a favore dei vini tappati con sughero che riuscivano ad “uscire” e manifestarsi in modo più evidente e d’impatto, mentre i vini tappati a vite necessitavano di un tempo più lento per rendersi evidenti: il momento più sorprendente si aveva dopo diversi minuti dall’apertura quando si riversavano, l’impatto gusto-olfattivo virava in modo eclatante verso quelli tappati con vite che diventavano sempre più espressivi e vivi contro un segno di passo di quelli con sughero. Un curioso esperimento è stato effettuato dall’Australian Wine Institute che ha scelto 14 bottiglie di un vino bianco australiano con le diverse tappature a disposizione, dal sughero allo screwcap. L’esperimento è durato 125 mesi e se si guardano le immagini a diversi step temporali è evidente la differenza tra i vini tappati con tappi a vite (conservazione perfetta, nessuna ossidazione prematura, sentore di tappo inesistente) e quelli con sughero che anche visivamente presentavano delle evoluzioni ossidative evidenti. I primi tappi a cedere sono stati quelli sintetici, a seguire tutti gli altri. Nelle degustazioni è emerso che i vini migliori erano quelli con tappi a vite.