Tra musica, emozione e coinvolgenti “acrobazie circensi” Daniele Silvestri si racconta prima del concerto che ad Assisi, lo vedrà protagonista di uno spettacolo che rappresenta in pieno l’esplosione creativa che il cantautore romano sta vivendo

di Francesca Cecchini

Torna in Umbria, nell’ambito della Stagione Umbria Eventi d’Autore, con una tappa del tour di presentazione del nuovo album, Acrobati (Sony Music), giovedì 28 aprile al Teatro Lyrick di Assisi, Daniele Silvestri che proprio dal cuore verde d’Italia (Foligno) è partito con la data zero del suo progetto. Grande l’attesa per il cantautore romano che ci spiega così come nasce un disco dal titolo tanto originale: “Acrobati nasce in una maniera molto istintiva. Dopo tanti anni che faccio questo mestiere è successo qualcosa di strano, di inatteso: mi sono ritrovato ad un punto in cui sentivo che stavo contenendo una voglia ed un entusiasmo che mi hanno ricordato gli inizi della mia carriera. Anzi, forse, sensazioni ancor più potenti di allora e che non credevo avrei più provato. Ho perciò sfruttato questo momento, l’ho assecondato”.

Un’urgenza che arriva anche dopo l’esperienza in Trio con Max Gazzè e Niccolò Fabi. Necessità, forse, anche di tornare ad esprimersi singolarmente dopo un progetto del genere?

Assolutamente si. Il progetto con il trio era una bella incognita, penso, per tutti e tre che ci incuriosiva prima ancora di iniziare. E’ stata un’esperienza molto forte, intensa e piena di soddisfazioni. Per risponderti, si, probabilmente c’entra anche questo, ne è una conseguenza.

L’album è dedicato a Lucio Dalla. Come mai questa scelta? Un momento di confronto con l’artista bolognese o, magari, le è capitato di conoscerlo?

Lucio era praticamente un amico di famiglia. Mia madre è bolognese e hanno persino cantato insieme quando lei si dilettava nel canto amatoriale. Lo conoscevo sin da quando ero un bambino ma il motivo non è questo. Il disco è dedicato a Dalla perché questo lavoro è stato una perpetua ricerca di libertà espressiva non solo da parte mia, ma anche da parte di tutti quelli che nel disco hanno lasciato qualche tipo di segno. Lucio, a mio parere, rimane l’esempio massimo di questo tipo di ricerca, soprattutto nella sua prima parte di attività. Senza nulla togliere al resto del suo percorso, all’inizio è successo qualcosa di davvero clamoroso, secondo me, e per certi versi anche irripetibile che continua ad essere fonte inesauribile di stimoli, di ispirazione. Sono cose poco prevedibili, molto divertenti, strampalate ma spesso molto emozionanti e in tutto ciò cercavo di attingere. Pensa, probabilmente mi è capitato di nominarlo talmente tante volte che, quando ho finito il disco, mi sembrava quasi inevitabile dedicarlo a lui.

Nel suo sito ci sono alcuni suoi editoriali. Questa esperienza di “narratore” influenza la creazione dei suoi brani?

Prima di tutto devo dire che mi è abbastanza congeniale la narrazione, mi piace raccontare soprattutto scrivendo. Questa impaginazione del sito di cui parli è forse la soluzione migliore per me come possibilità di espressione. Una possibilità che influenza anche la composizione dei miei testi. Il fatto di avere un sito che in qualche modo non si limita alle canzoni o, comunque, in quelle ha il suo momento di espressione più consapevole, dimostra come ci si possa aprire ad un contesto più ampio. Che poi è un pò quello che succede anche in concerto. Ci sono storie che si possono o meno collegare insieme, altre che a volte funzionano per contrasto o che sembrano un unico racconto nel contesto. Questo riuscire a tessere una trama più ampia mi sembra dia più valore alle cose. Anche durante il concerto a volte narro, non mi limito a cantare. Interagisco con il pubblico dall’inizio alla fine e il rapporto, man mano che si prosegue, diventa sempre più diretto.

La quarta parete divide pubblico ed artista ma infrangerla, a volte, rende il trait  d’union tra le due realtà molto più forte durante un’esibizione …

In realtà non lo so. Si può provare ad immaginare che il confine fra teatro, musica e spettatore non esista ma, allo stesso tempo, è un territorio vastissimo in cui sussistono anche varie forme di esibizione che non prevedono un contatto diretto tra le parti. A volte è bello che quella quarta parete ci sia, serve a creare una fascinazione. Si può pensare di fare entrambe le cose in momenti diversi. In Acrobati c’è una parte, la centrale, in cui la “barriera” in qualche modo c’è e ci deve essere perché lo spettacolo diventa più teatrale, anzi, più circense. Poi ce ne sono altre in cui viene infranta fino a vederla crollare nel finale. Quando ciò accade è un’emozione forte. Mi piace che ci sia la possibilità di usare lo spazio in tutti i modi possibili.

Una delle sue grandi passioni è la lettura. C’è un autore a cui si sente più affine per stili e contenuti?

Ci sono molti autori che mi piace leggere ma un autore a cui mi sento affine non saprei citarlo perché tra i nomi che mi vengono in mente non ce n’è uno di cui mi senta all’altezza. Uno scrittore dal cui mondo letterario cerco di attingere viene dalla mia infanzia ed è Italo Calvino. Sono innamorato dell’esplosione della fantasia soprattutto quando è unita alla capacità di scrivere e raccontare in un modo affascinante e, nel caso di Calvino, anche in maniera semplice ma potente. In più mi piace molto la sua capacità di perlustrare i mondi possibili del sogno e dell’invenzione della fantasia.

Molte le collaborazioni in Acrobati tra cui, ad esempio, Dellera, Caparezza. Come nascono questi incroci artistici?

In modo diverso tra loro. Non sono tantissime in realtà. Le canzoni sono diciotto e le collaborazioni sonore sono quattro o cinque. Con Caparezza in particolare era molto tempo che progettavamo di collaborare insieme e, in questo periodo per me così entusiasmante, è arrivata una cosa che mi sembrava giusta per stimolare anche lui. E così è stato, per fortuna. Sapevo che avremmo potuto divertirci a giocare insieme con le parole. Con i Funky Pushertz è avvenuto un passaggio simile dopo averli scoperti grazie a Roy Paci che è un altro dei nomi presenti nel disco e che rappresenta un “ingrediente” di non poco conto in questo lavoro. Per quanto riguarda Dellera, Diodato e Diego Mancino, queste sono tre persone che hanno gravitato intorno alla costruzione del disco per vari motivi proprio nel momento in cui il progetto iniziava a diventare importante. C’è qualcosa in tutte queste collaborazioni che va oltre la qualità e che sta nella casualità di condividere insieme lo stesso periodo, chi per una ragione, chi per un’altra.

(fotografie di Marco Agabitini)