di Barbara Maccari

Trovare una definizione precisa della loro attività non è facile: c’è chi li chiama artisti, chi musicisti, ma anche acrobati, perché quando li si vede in azione fanno davvero venire i brividi sospesi lassù attaccati al Campanone di Gubbio senza nessuna protezione. Il loro punto di ritrovo storico è una sala in cima a Palazzo dei Consoli proprio sotto la “Torretta” del Campanone,  in una piazza sospesa unica in Italia, le cui pareti sono state “dipinte” da un prete campanaro che con il carbone creava una sorta di registro per ogni suonata riportando i presenti, gli assenti e l’andamento, fino a quando lo spazio è finito e si è passati alla trascrizione su libro. La nostra chiacchierata è avvenuta con i pilastri dell’associazione, il Presidente, Sergio Pelicci (Doppiarolo), il Vicepresidente, Luigi Barbi (Doppiarolo Cepparolo), il Segretario, Loris Ghigi (Cepparolo) e il campanaro Claudio Mancini (Cepparolo), i quali precisano subito un concetto: “I Campanari suonano tutto l’anno come da calendario tramandato oramai da secoli, non solo nel giorno dei Ceri”.

Quando e come è nata l’associazione?

La nostra compagnia di fatto esistite da quando sulla Torretta del Palazzo dei Consoli è stato collocato il Campanone. Prima eravamo un gruppo di amici che si riunivano e suonavano le campane, poi dal 1981 siamo diventati una società con uno statuto.

Quanti elementi conta la compagnia attualmente?

Siamo in undici, nove effettivi e due supplenti.

Il vostro simbolo distintivo è la camicia rossa, a cosa è dovuta?

Inizialmente non c’era una divisa, poi negli anni ’60 si è passati alla camicia bianca con lo stemma del comune ed intorno agli anni ’80 un appassionato di Gubbio, un uomo non simpatizzante per l’ala politica della sinistra, ma che amava molto la città, disse che vedere una macchia bianca lassù non era bello, oltretutto col sole rifletteva e quindi si inventò la divisa del campanaro: camicia rossa e un paio di pantaloni blu in modo tale da riprodurre i colori di Gubbio.

Come si diventa campanari? Il titolo si tramanda di generazione in generazione o è aperto anche ad altri?

Lo fanno solo gli eugubini, per il resto l’associazione è aperta a tutti, tenendo sempre conto che il numero è limitato e quindi bisogna aspettare che qualcuno si ritiri e che suonare il campanone è una vera e proprio arte che si impara seguendo delle tappe. La caratteristica principale rimane comunque la passione perché il nostro è “un lavoro” che richiede molto sacrificio e costanza e non tutti sono disposti a farlo.

Qual è la tecnica che usate per suonare il Campanone?

Usiamo la cosiddetta tecnica “a bicchiere”, cioè la campana centrale viene spinta con la forza dei piedi fino a farla suonare attraverso il potente “batoccolo”, che da solo ha il peso di 1 quintale, sui 21 complessivi, e questa produce il suono ritmico, poi intorno c’è il famoso “doppio”, cioè le altre due campane, la Mezzana e la Piccola, che accompagnano quella centrale.

Il Campanone segue un calendario delle suonate durante l’anno, quanto dura in media una suonata e c’è uno spartito da seguire?

Più che uno spartito, da seguire c’è una base musicale che risale a tanti secoli fa, addirittura al periodo in cui Gubbio aveva lo statuto Medioevale. Nel corso del tempo sono successi dei fatti e a ricordo di questi avvenimenti, belli o brutti, sono stati costruiti degli accompagnamenti; c’è ad esempio la suonata di Fagiolo e Tittone, due campanari che hanno avuto un incidente mortale sul Campanone, che viene fatta con la campana piccola, media e quella grande, poi quella riguardante un prete campanaro, Don Armando, che aveva un cagnolino che abbaiava quando si trovava in Piazza Grande e l’allora Presidente dell’associazione, Lorenzo Belardi, si inventò la melodia del guaito del cane che faceva solo con le due campane. Per quanto riguarda la durata invece varia in base all’evento, ad esempio la suonata per la processione che va a benedire i Ceri, o la processione del Corpus Domini, o il Corteo del Primo Maggio, sono suonate lunghe che superano la mezzora rispetto alle altre che si attestano sui 15- 20 minuti.

Nel Campanone è impressa una preghiera in latino, a chi è rivolta?

Nella campana c’è un’iscrizione che più che una preghiera è un inno alla salvaguardia della città del popolo di Gubbio, un inno che si rivolge ai Santi protettori, Sant’Ubaldo, San Giovanni Battista e la Madonna Immacolata. Ma la cosa che colpisce e che rende davvero unica questa campana è che non è inserita in una chiesa, ma è all’interno di un palazzo civico, quindi fa suonate religiose e civiche. Ancora oggi tutta la cittadinanza sa che ad ogni tipo di suonata corrisponde qualcosa, ad esempio l’apertura del consiglio comunale, ma anticamente il Campanone fungeva da “campanella” che decretava l’entrata e l’uscita delle scuole, era l’Internet del 1.200, la voce della città.

Quante volte è stato cambiato il Campanone?    

Questo è il settimo, quello che ha preceduto questa campana ha avuto una durata di tre anni, poi si è spaccato durante una suonata. Nel 1768 hanno cominciato così la costruzione di quello attuale con un fonditore aquilano, Giovanni Battista Donati. La sua realizzazione è stata fatta proprio sotto Palazzo dei Consoli chiedendo anche la collaborazione del popolo di Gubbio, tant’è vero che quando abbiamo fatto l’analisi chimica, oltre al bronzo, che è la maggior parte della lega che costituisce il Campanone, abbiamo trovato anche argento ed oro.

Avete mai paura quando salite in cima alla Torretta per suonare il Campanone?

Sempre! La buona condizione fisica e il non soffrire di vertigini sono i due elementi chiave. Una giusta dose di paura ti permette di rimanere concentrato e di non commettere errori che altrimenti sarebbero fatali.

Intervista tratta dal numero di ViewPoint cartaceo del maggio 2011