L’odore della terra arsa, la salsedine che si mescola al sudore, il cielo limpido che abbraccia l’erba ingiallita, una distesa d’acqua che circonda tutto, lo scorrere del tempo scandito da tocchi di mani su tamburo. Nasce da questi elementi la musica del cantautore e percussionista siciliano Alfio Antico che domenica 24 luglio sarà uno dei protagonisti di punta della settima edizione di Music for Sunset, festival di suggestioni sonore al tramonto, promosso dall’Associazione Umbra della Canzone e della Musica d’Autore nella splendida cornice dell’Isola Maggiore.

di Floriana Lenti 

Alle 19.30, alla Lingua del Cigno, si darà vita ad “Antico”, concerto di musica folk sperimentale in cui si esibirà anche il cantautore Colapesce, coproduttore del progetto. E da un’isola all’altra, con il valido sostegno del sole che lascerà il posto alla luna, tutte le emozioni che sa restituire la musica popolare del sud si trasferiranno in Umbria. Abbiamo intervistato Alfio Antico che tra un sorriso e l’altro ci ha trasmesso la sua passione lasciando la curiosità dell’ascolto…

Cosa significa portare la Sicilia al lago Trasimeno?

Significa raccontare la mia storia in un luogo differente ma simile perché saremo comunque su un’isola. Portare la mia Sicilia è appunto un racconto, in questo caso qualcosa di molto arcaico, di puro, di umano.

Nella sua arte si intrecciano musica, poesia e azione scenica. Quale performance ha in mente per il pubblico di domenica?  

Tutte e tre, come sempre. Non esagero però nella descrizione, è una sorpresa (ride)

Il suo primo tamburo?

Da ragazzo, mentre ero a fare la transumanza, una pecora alla quale ero legato morì tra le mie braccia. Scrissi anche una canzone a proposito di questa storia, Barulè.

Scoperto da Eugenio Bennato una sera a Firenze, ha collaborato con artisti di fama internazionale, ci racconta un breve aneddoto di uno dei tanti concerti che hanno segnato la sua carriera?

Ho sempre piacere a raccontare della splendida presentazione che mi fece Lucio Dalla come intro della sua Caruso. Fu una serata straordinaria, lui mi presentò con un nobilissimo rispetto, quasi in maniera timida, fu molto dolce. C’è ancora un video in internet, ogni tanto lo riguardo volentieri.

Quest’anno è uscito l’ultimo album prodotto da Lorenzo Urciullo -in arte Colapesce- e Mario Conte. Com’è suonare con loro?

Lorenzo lo conosco da anni, io e suo padre siamo amici da una vita, quindi per me era come lavorare in famiglia. Lui ha voluto coinvolgere un suo caro amico, Mario Conte, e da lì, tra una cena e l’altra, abbiamo suonato. È stato qualcosa di profondamente umano.

Cosa pensa della “riscoperta” della pizzica e della tammorra in Italia?

Guardi l’importante è non farne un’imitazione. Tra gli anni ’70 e gli anni ’80 con Musicanova e Peppe Barra è stata rimodellata e resa contemporanea, ora bisogna capire cosa si vuole fare. La curiosità è un bene, ma bisogna conoscerla, sapere da dove viene e dove può andare, se è solo un copia e incolla non va bene.

Il verso della canzone che le sta più a cuore?

In questo ultimo disco dico un verso di Pirchì, l’ho improvvisata senza scriverla a microfono aperto e se ci fate caso la mia voce è emozionata. Credo che in questi versi ci sia tutta la mia adolescenza tra le montagne con le pecore, è tutta lì.

Terra ca ti taliu

si sempri comu na minna

ca mi duna latti

puru quannu non tegnu siti.

Nun ci luvati l’aria a l’aceddi

sinnò nun ponnu vulari”