La magia della vita quotidiana nei trentatré racconti del nuovo libro di Mirko Revoyera, “Il cercatore del tempo”. Un coacervo di forze, tra mito e realtà, che il contastorie raccoglie tra le pagine del volume in chiave teatrale

di Francesca Cecchini

“Il cercatore del tempo. Trentatré racconti di quotidiana magia” questo il titolo del nuovo libro di Mirko Revoyera, edito da Futura Edizioni, che sarà presentato domani all’auditorium Santa Cecilia di Perugia. Nel volume vengono narrati prodigiosi accadimenti e misteriose magie che venano il quotidiano vivere, raccolti e scritti però in chiave teatrale perché possano essere narrati come fossero fiabe.

“Il libro sostanzialmente – ci spiega l’autore – è una raccolta di racconti che vengono dai miei spettacoli teatrali di narrazione, in cui le storie funzionano un po’ come le fiabe. Sono conchiuse, iniziano e finiscono in pochi minuti e puntano su argomenti principe che sono, poi, quelli che mi hanno spinto a costruire il racconto intorno a vicende reali”. Personaggi e storie che vengono ovviamente trasposte sia per ‘proteggere’ le persone che hanno vissuto le varie esperienze, che per renderle il più possibile universali. Ciò che si cerca in ciascun racconto è l’elemento universale e, ancora, gli insegnamenti che io ho ricevuto da quelle vicende, da quelle persone, da quei casi”.

Non una morale in ogni racconto, bensì alcuni “fulcri di riflessione sulle questioni proprie della vita. Il titolo del libro e di uno dei racconti, Il cercatore del tempo, in questo senso è significativo”. Sintetizza cioè l’atteggiamento che ciascuno di noi ha nel momento in cui si cimenta nella ricerca delle questioni fondanti della vita: “per me nella parola tempo c’è il senso di quello che facciamo”. Non si tratta però di un volume autoreferenziale. Revoyera vede la stessa ricerca, lo stesso “abbandono” alla bellezza del mondo, in ognuno di noi. Là dove per “abbandono” alla bellezza si indica un “cercarla in tutte le cose, anche nelle più minute, nei piccoli gesti, in tutto ciò che diamo per scontato. In ciò che etichettiamo come banalmente quotidiano, in realtà risiedono, secondo me, numerose chiavi di bellezza”.

Le storie sono “racconti di privati”, di persone con cui l’autore stabilisce una “relazione” di fiducia nel momento in cui descrive loro la sua passione per le storie personali. Il rapporto intimo che viene a crearsi a quel punto lo porta ad essere depositario di una sorta di “diario” da cui trarrà – consapevoli i protagonisti – racconti, come quelli che ritroveremo in Il cercatore del tempo. L’ambientazione non è del tutto contemporanea. Le storie, infatti, viaggiano indietro nel tempo fino ad arrivare all’inizio del Novecento.

Abbiamo davanti a noi un contastorie che, come l’attore ai tempi antichi, intrattiene i presenti con racconti a lui tramandati oralmente. Storie tra realtà e fantasia…

“Si. E la parola magica è “oralmente”. Esattamente dove il mito trasforma i dati reali, dove la fantasia – il surreale – entra in scena con la funzione di sorprendere. La storia per essere affabulante deve essere in qualche modo una mescolanza fra dati reali e, dunque, anche verosimili, ma non necessariamente accaduti.

Ma c’è una differenza tra attore e narratore. “L’attore è colui che incarna una dimensione umana e le dà un carattere – carne, voce – Il contastorie, invece, non può essere attore perché deve mantenere una linea narrativa. Nelle sue parole, nei suoi atteggiamenti c’è anche colui che “conduce la storia”. Si dovrà calare, poi, all’interno dei suoi personaggi, tratteggiarli, caratterizzarli, ma solo per il breve momento che servono alla storia. Questo è il trucco dei contastorie, ma ne è anche il limite”. La difficoltà varia. L’attore, infatti, per entrare in un personaggio può lavorare anche per molti mesi di seguito, giungendo, a seconda dei casi, persino a cambiare fisicamente, e via discorrendo. Il contastorie deve attuare questi passaggi in tempi strettissimi, rapidamente: “È un bozzettista. Non può permettersi di rimanere “agganciato” al personaggio. Anzi, mentre racconta, non può nemmeno caratterizzarlo troppo perché l’ascoltatore deve continuare a sentire in lui una estraneità rispetto al suddetto personaggio”. È come se mettesse tra virgolette tutte le battute così che lo spettatore continui a tenere presente che lui è sempre il contastorie e che, dopo pochi secondi, riprenderà la linea narrativa.

Il pubblico più difficile da affrontare per un contastorie?

“I bambini sono “feroci” – ci dice sorridendo – Nel momento in cui si stancano non hanno alcun pudore. Lo dicono, si alzano, se ne vanno o fanno direttamente versacci. Sono meravigliosi! In realtà, ciò che più mi crea difficoltà non è tanto il tipo di pubblico, ma il falso tentativo di rendere sofisticata una storia. Se ti poni il problema di renderla articolata e molto più letteraria, la perdi. Pensare, poi, che un bambino non possa seguire un testo per adulti è sbagliato. È in grado di farlo con la stessa passione, divertimento e stupore che ci si può aspettare dai grandi”.

La musicalità riveste grande importanza nei racconti che “sono stati pensati per essere raccontati in musica”. I pezzi composti dai musicisti per le storie narrate hanno influenzato la ritmica della scrittura. Nel momento in cui le parole non si adattavano ai brani, Revoyera ha modificato i racconti in base alla musica, che ha sempre un ruolo di comprimaria, mai di sottofondo.

Il cercatore del tempo è rivolto ad un pubblico eterogeneo “perché la sua forma è idonea anche per un bambino”. Un piccolo lettore che probabilmente “sfronderà certe considerazioni, certe riflessioni” ma sarà in grado di seguire senza problemi la sequenza delle azioni, degli accadimenti, le unità di tempo e gli spostamenti di luogo, caratteristiche tipiche della fiaba.

Trentatré i racconti. I primi trentatré di una ipotetica trilogia: “Ne ho molti e questi nel libro sono quelli che ho selezionato perché hanno qualcosa in comune. Sto lavorando a delle fiabe per arrivare a comporne novantanove”. Un numero originale, voluto proprio perché non rappresenta una cifra tonda, “un numero imperfetto che in qualche modo è dinamico perché sembra gli manchi sempre qualcosa”. Magari a mancare potrebbe essere l’elemento personale aggiunto da ogni lettore, la propria magia.