Il Lazio è ricco di luoghi che, seppur meno noti di altri, non hanno davvero nulla da invidiare alle principali città della regione. Tra questi spicca il bellissimo borgo di Tuscania, una piacevolissima scoperta di cui abbiamo goduto sin dal primo respiro

di Daniele Pandolfi

A pochissimi chilometri da Viterbo la città degli Etruschi, così soprannominata dai Romani, apre le sue prime pagine con un piccolo arco d’ingresso, dove al nostro arrivo, ad attenderci guastafeste, c’era la pioggia  che imperversava. Per nulla rinunciatari e dopo una bella colazione al calduccio di un accogliente bar incontrato per caso, siamo entrati nel cuore della città-borgo raggiungendo il noto e splendido Parco Torre di Lavello. Col dominio incontrastato del verde e una camminata lungo le mura di cinta, abbiamo ammirato uno dei panorami più suggestivi della provincia di Viterbo: la deliziosa sacralità della Chiesa di San Pietro accompagnata dai ruderi del Castello del Rivellino. Di belle chiese, duomi e luoghi di culto potrei farvi un lungo elenco ma l’impatto che ha avuto la chiesa di San Pietro su di noi è stato incredibile. Piccolo gioiello che si erge su un colle omonimo e che riassume nel rosone centrale la duplicità dell’essere in quanto tale. I tre cerchi concentrici rappresentano la Trinità, a separare le due bifore ai lati dei draghi. Quella di destra circondata da figure fantastiche e demoniache e quella sinistra con l’Agnus Dei, Santi e padri della Chiesa. 

Vecchia tanto quanto l’Età del Bronzo, alla quale si fanno risalire i primissimi insediamenti, la città di Tuscania è riuscita ad inglobare alla perfezione diversi stili architettonici e non solo. Dai Romani alle invasioni barbariche, liberata da Carlo Magno e donata alla Chiesa fino alla disputa tra guelfi e ghibellini. Non manca proprio nulla alla città, in cui tra i tanti nomi celebri alla storia Tosco-laziale spicca quello di San Francesco d’Assisi, il quale vi soggiornò intorno al 1222. A lui è dovuta la forte impronta monastica del loco. Insomma se non furono i Goti, Visigoti e i successivi popoli, a disintegrare questo gioiello puro italiano, ci pensò nel 1971 un violento terremoto che la rase quasi al suolo. Come sovente capita nel nostro paese i lunghi lavori di riparazione superano ere geologiche. E con questo dico tutto.