di Francesca Cecchini

Alla fine di un viale alberato si entra nel mondo di Giovanni e dei suoi cavalli. Qualità del lavoro svolto e rispetto per gli altri: le regole della grande famiglia si rispecchiano dentro e fuori il campo con Pippo, Rolly e gli altri

“Colleverde è nato nel 1978. Mio nonno, che purtroppo ora non c’è più, lo ha acquistato nel 1991. Il complesso è a conduzione familiare e, infatti, lo gestiamo io, mia madre e le mie zie. Io sono praticamente cresciuto qui dentro e, tanta è la passione cresciuta negli anni, che ho deciso di prendere il patentino di istruttore e farne il mio mondo”. Queste le parole con cui inizia le nostra chiacchierata informale con Giovanni Sepioni che ci accoglie in un caldo pomeriggio estivo e ci conduce ala scoperta del piccolo angolo di serenità qual è il centro ippico della Country House Colleverde di Perugia. Un lungo viale alberato precede l’entrata del maneggio dove, sia nel campo all’aperto che nei vari box, troviamo una piccola flotta di quadrupedi che spaziano da pony di varie taglie a cavalli tra cui spiccano stalloni dallo sguardo fiero. Un patentino, quello di Giovanni, di istruttore di secondo livello che gli consente di aiutare i bambini ad avvicinarsi a questi affascinanti animali e a condividere con loro un momento ludico ed educativo o, in alcuni casi, di permettere loro di praticare un vero e proprio sport essendo questo anche un club tesserato per le discipline olimpiche.

Ogni maneggio ha le sue regole, i suoi metodi. Potresti spiegarci qual è il tuo approccio con i piccoli ospiti che arrivano qui a Colleverde?

“Il mio approccio è abbastanza “individuale”, è legato alla singola persona. Per me la cosa più importante è che il bambino o l’allievo, perché non sempre chi viene qui vuole necessariamente praticare agonismo, arrivi ad acquistare una sicurezza tale che lo renda autosufficiente. La prima cosa di cui mi accerto è la sicurezza. Solo quando mi appuro che c’è una totale indipendenza lascio libero il ragazzo di muoversi da solo”.

Quando riesci a capire che è arrivato il momento dell’indipendenza?

“Quasi sempre bastano poche lezioni, per raggiungere l’autonomia. A volte forse eccedo in questo voler essere sicuro dell’allievo ed è vero che, come recita il vecchio detto, “Non si è cavalieri finché non si cade”, ma cerco comunque di esserne certo al massimo. Poi, per aiutarli, il mio compito sta anche nel riuscire ad individuare il cavallo adatto ad ogni bambino, che sia più affine alle sue caratteristiche”.

A Colleverde si cavalca e…

“Io non tratto molto il “gioco” fine a sé stesso. Cerco invece di insegnare, oltre lo “stare a cavallo”, la cura dell’animale, a stare in sua compagnia, a passare il tempo qui al maneggio. Occorre rispetto ed è necessario capire che ci sono delle responsabilità,  che i cavalli non sono degli oggetti ma esseri in carne ed ossa. Sono fermamente convinto poi che questo ambiente sia molto utile per la formazione del carattere di tanti ragazzi proprio perché qui vengono responsabilizzati, trovano un qualcosa che dà loro un impegno che altrimenti non avrebbero nel loro quotidiano. Io tengo molto a questo aspetto. Prima dell’agonismo, prima di ogni altra cosa, questo deve essere un posto in cui “si sta bene”, in cui regni la serenità e dove ci si comporti, di conseguenza, in modo adeguato rispettando gli altri con rigore. Una “grande famiglia” che ha però sempre e comunque le sue regole che vanno rispettate”.

C’è un limite di età per iscriversi?  

“Per poteri iscrivere i bambini devono aver compiuto almeno sei o sette anni ovvero quando hanno uno sviluppo psicomotorio sufficiente per poter gestire un pony, che è l’animale adatto per iniziare, è a misura di bambino”.

Crescendo il bambino cresce anche la “misura” del pony e, successivamente si passa al cavallo, immaginiamo. Ci viene dunque una curiosità. L’allievo che instaura un rapporto con il pony non trova poi difficoltà nel passaggio successivo che lo vede montare un cavallo?

“Il passaggio da pony a cavallo avviene generalmente verso i 13- 14 anni e, soprattutto nell’agonismo, è abbastanza traumatico. E’ un modo di montare differente. Ti spiego: a quell’età, il ragazzo (o la ragazza) è in una fase di crescita fisica che lo porta ad essere, a volte, un po’ sgraziato e a non saper gestire bene il proprio corpo. Fargli montare un soggetto che ha un’andatura notevolmente diversa – che diventa, con il cavallo, più lenta e più potente – lo manda in crisi e si vede “costretto” ad adattarsi per poter continuare. E’ un momento complicato che comunque quasi tutti riescono a superare”.

Colleverde non si limita al maneggio ma è una vera e propria struttura ricettiva in cui si tengono campus estivi. Anche questi ruotano intorno al mondo del cavallo?

“L’equitazione è sempre l’attività principale anche se viene vissuta, ovviamente, non essendo continuativa, in maniera diversa. Cerchiamo comunque, anche nei campus, di insegnare ai ragazzi che partecipano un primo approccio educativo corretto con l’animale. E’ basilare per noi”.

Alcuni allievi si stanno allenando proprio ora. Ci sono gare in vista prossimamente?

“Si, avremo gare di salto ostacoli a metà e alla fine del mese di luglio a Cervia e Montefalco”.

Per chiudere ti chiedo di regalarci un ricordo legato alla tua vita a Colleverde. La prima cosa che ti sale dal cuore e arriva alla mente…

“Quando ero ragazzino ho partecipato ad una gara. Una gara che non era importante ma alla quale mio nonno stava assistendo. All’inizio ero molto indietro poi, spronando me e il cavallo, è giunta la rimonta ed è arrivata la vittoria. Lo sguardo di mio nonno è il ricordo più bello che ho: il suo orgoglio, la sua gioia. Emozioni  non tanto dettate dal fatto che ero arrivato primo ma legate all’evidente impegno che avevo messo per riuscire a farcela per me e per lui. Da quello sguardo è nata la mia passione. Da quello sguardo è sbocciato il mio amore per il “nostro” maneggio”.

(fotografie di Marco Zuccaccia)