di Barbara Maccari

Il mondo dell’alta moda non è fatto solo di scintillanti passerelle, famosi stilisti e filiformi modelle ma anche di solidi manager che, con un intuito sorretto da preparazione e cultura, riescono ad individuare i nuovi talenti per lanciarli con successo sul mercato. Uno di questi è Antonio Cristaudo, team leader del gruppo “Pitti Immagine” che, da anni, si occupa di quel lavoro sotterraneo ma indispensabile denominato scouting, ovvero individuazione e selezione di prodotti ed aziende meritevoli di partecipare alle manifestazioni internazionali di moda targate Pitti.

Chi è Antonio Cristaudo  e come nasce il suo rapporto con la moda e con il Pitti?

Sono il responsabile marketing del gruppo “Pitti Immagine”; il mio rapporto con questa azienda e, più in generale, con il mondo della moda è nato nel 1995 grazie ad alcuni master specifici che mi hanno dato la possibilità di conoscere a fondo il settore dell’abbigliamento in tutti i suoi comparti. Già allora il gruppo “Pitti Immagine” godeva di un grande appeal nel mercato della moda e poteva vantare un respiro internazionale. Questa dimensione cosmopolita si è rivelata preziosa per il mio bagaglio professionale perché mi ha consentito di allargare il mio orizzonte lavorativo, facendomi abbracciare ed approfondire i vari segmenti dell’industria dell’abbigliamento, dal classico allo sportivo, dal mondo giovane alle nuove tendenze. Insomma, quelle prime esperienze di stage si sono trasformate in una importante ed appagante occasione di lavoro.

Quali sono le caratteristiche che deve avere un marchio per essere selezionato per le iniziative di “Pitti Immagine”?

I tre pilastri sui quali si basa il successo commerciale di una linea di abbigliamento sono, senza dubbio, la qualità del prodotto, l’immagine e la distribuzione. Il primo requisito, da cui non si può prescindere, è naturalmente la qualità, in cui sono compresi concetti come innovazione stilistica, creatività, professionalità nel processo di produzione. Ma tutto ciò verrebbe vanificato ove non sia adeguatamente curata l’immagine dell’azienda, un’immagine che deve essere vincente, gradevole, accattivante ed all’altezza del prodotto, che faccia, insomma, presa sul mercato e valorizzi il marchio. Terzo elemento indispensabile è un’efficiente e capillare rete di distribuzione, che garantisca un adeguato ritorno economico. Naturalmente, questi tre requisiti potrebbero non essere pienamente presenti nelle aziende che muovono i primi passi, ed è allora compito di “Pitti Immagine” individuare quelle più meritevoli e promettenti, scommettendo su di esse. Senza falsa modestia, posso dire che il nostro gruppo in molteplici occasione ha dato prova di saper valorizzare i nuovi talenti, riuscendo a lanciare sul mercato prodotti validi.

Alla luce della sua esperienza, che idea si è fatta del pubblico che frequenta le iniziative di “Pitti Immagine”?

A differenza di altre manifestazioni, il pubblico del “Pitti” è sofisticato, di fascia alta e, soprattutto, internazionale. Spesso i saloni di alta moda sono caratterizzati se non addirittura condizionati dall’area geografica in cui sono collocati, e quindi sono portati, magari inconsapevolmente, ad esprimere ed enfatizzare i gusti specifici di quel particolare territorio, la qual cosa fatalmente produce scarsa attrattiva sui mercati di altri continenti o altre aree geografiche. La prerogativa di “Pitti”, invece, è che si tratta di eventi realmente internazionali, nel senso che affluiscono visitatori e potenziali clienti non solo da aree limitrofe ma letteralmente da ogni parte del mondo: Stati Uniti, Giappone, Corea, Brasile, Cina, India e tutti gli stati delle economie emergenti. Tanto per fare un esempio, ospitiamo regolarmente più di settecento buyer giapponesi, escludendo giornalisti e altri operatori del settore; complessivamente, i potenziali clienti che prendono parte alle iniziative promosse dal nostro gruppo ammontano sempre ad oltre trentamila unità, numeri importanti che fanno la differenza con altre manifestazioni.

Quali saranno le novità dell’edizione 2012 di “Pitti Uomo”? 

Le novità saranno tante ed importanti, ma tra queste mi piace sottolineare il lancio in grande stile della linea uomo Carven, un marchio che nacque alcuni decenni fa in Francia e che sarà l’ospite speciale di questa ottantaduesima edizione di “Pitti Uomo”. Dopo la riaffermazione della linea femminile, avvenuta alcuni anni fa, oggi la linea maschile Carven sfilerà per la prima volta in passerella, e per questo importante debutto è stata scelta non Parigi ma l’Italia, con nostra grande soddisfazione.

E del comparto tessile umbro che cosa ne pensa?

Com’è noto, la ricchezza del nostro paese risiede nella grande varietà di eccellenze regionali, ed anche nel settore dell’abbigliamento questa caratteristica non si smentisce. Sicuramente l’Umbria è maestra nel campo della maglieria, con particolare riferimento al comparto del cashmere dove può vantare aziende che hanno una marcia in più rispetto a tutte le concorrenti. E questa specificità riguarda anche altre regioni; ad esempio, le Marche sono rinomate per le scarpe da uomo, il Veneto per quelle da donna, mentre Firenze ed il suo territorio è, da tempo immemorabile, leader nella produzione di accessori in pelle.

In questo momento di crisi e di difficoltà per l’economia, che ruolo può ricoprire il comparto della moda?

Credo che la moda potrà fare la sua parte nel rilancio dell’economia se riuscirà a coniugare e far convivere la creatività con le vendite, tenendo conto delle esigenze del consumatore. Analizzando le attuali tendenze di mercato, posso dire che, in questo momento, il consumatore, soprattutto maschile, predilige il concetto di prodotto artigianale e si orienta verso capi realizzati da aziende specializzate. Vengono, quindi, preferite aziende di piccole dimensioni e affidabili sotto il profilo della qualità, a discapito delle grandi griffe che, fino a qualche stagione fa, cercavano di imporre sul mercato il loro marchio su una variegata e vastissima tipologia di prodotti, secondo una strategia denominata “total look” che richiedeva investimenti molto ingenti. Oggi solo pochissimi ed importanti brand possono permettersi il lusso di una linea “total look” mentre altri, dopo essersi avventurati in questa strategia tralasciando il proprio settore tradizionale, hanno dovuto fare marcia indietro.

Quindi la risposta in questo momento di crisi è la specializzazione?

Ne sono assolutamente convinto, in quanto la specializzazione o la monoproduzione è percepita dal consumatore come un atto di fedeltà da parte dell’azienda. E comunque, qualsiasi strategia non può, ormai, prescindere da un maggior dinamismo rispetto a qualche anno fa. Nei mercati tradizionali dell’Europa e dell’America un processo evolutivo poteva maturare anche in periodi molto lunghi, mentre oggi, soprattutto nei nuovi mercati delle potenze economiche emergenti, i gusti si evolvono molto rapidamente e richiedono una grande capacità nel cogliere al volo le novità.

Nel mercato globale il Made in Italy ha ancora un suo valore?

Quando il Made in Italy è figlio della tradizione, esprime qualità ed è frutto di innovazione e ricerca, quando insomma è un Made in Italy serio, non teme concorrenti sul mercato internazionale; viceversa, un Made in Italy senza progettualità, ripetitivo e di scarsa qualità non ha alcun futuro. Nel ricco mercato americano e in quello cinese, potenzialmente sterminato, la creatività italiana è ricercatissima ed apprezzata, perché i consumatori sono molto esigenti e desiderano un prodotto ben fatto. Generalmente, i prodotti di alta moda sono acquistati dal 5% della popolazione, ebbene, se pensiamo a quanto sia alto, in termini numerici, il 5% della popolazione cinese, possiamo ben comprendere quanto sia appetibile quel mercato, così come quelli di altri paesi asiatici.

Un’ultima domanda forse un po’ scontata: cos’è la moda per il dr. Cristaudo?

La moda per me, oltre ad essere un lavoro, è anche un grandissimo piacere; ho, insomma, la fortuna di lavorare divertendomi, cosa che ritengo sia la massima aspirazione per qualsiasi persona. Ed i ritmi, a volte stressanti e faticosi, vengono felicemente superati se si riesce a lavorare con passione e appagamento.

Intervista tratta dal numero di ViewPoint cartaceo di maggio-giugno 2012

Fotoservizio Angelo Maccari