La poetica delle opere di Magritte e Chagall fonte d’ispirazione per Ósemán | Il cielo, nuova produzione INC InNprogressCollective e Déjà Donné, che nasce da una riflessione sulla luna blu, lo straordinario evento astronomico durante il quale si assiste al sorgere di due lune piene nell’arco di un solo mese. A parlarci del progetto che debutterà il 12 marzo al Teatro Morlacchi è il coreografo e regista Afshin Varjavandi tra atmosfere oniriche e danza poetica
di Francesca Cecchini
“Colui che danza cammina sull’acqua e dentro una fiamma”, queste le parole (del drammaturgo Federico García Lorca) che ci vengono in mente pensando ad Afshin Varjavandi, danzatore e coreografo che si muove in uno spazio senza tempo, schiudendosi al pubblico con il suo estro comunicativo permeato di una creatività in continuo progresso, sempre più innovativa e mai retorica. Molti i viaggi sensoriali che abbiamo condiviso con la sua compagnia, la INC InNprogressCollective, dalle performance in riva al Lago Trasimeno al prestigioso palco del Festival dei Due Mondi, dalla poetica della danza scivolata tra le opere d’arte del Museo Civico di Palazzo della Penna all’esplosione del viaggio introspettivo e multiculturale di toPRAY. Oggi Varjavandi torna con una nuova produzione INC e della storica realtà Déjà Donné con Ósemán | Il cielo che debutterà in prima nazionale domenica 12 marzo (ore 17) sul palco del Teatro Morlacchi di Perugia.
Come nasce il progetto, frutto della fusione di arte e danza, ispirato alle opere di Magritte e Chagall, è lo stesso coreografo a spiegarcelo: “L’idea nasce dalla luna blu. È una riflessione sull’evento astronomico della scorsa estate che tanto mi ha affascinato. Una sorta di simbolo che mi ha portato a pensare quanto raramente possa accadere che un fenomeno, nell’arco della vita, si possa ripetere per una seconda volta.
Perché Magritte e Chagall?
È stato istintivo scegliere questi due pittori che ho amato molto sin dalla mia adolescenza e ricanalizzare in Ósemán il loro modo onirico e rarefatto di raccontare. Ho avuto il desiderio di cercare di ricreare le atmosfere della loro poetica all’interno dello spettacolo.
Durante la performance c’è una trama che si sviluppa danzando o una serie di quadri evocativi?
Questo spettacolo per me e i miei danzatori è stato un “gradino di sfida” perché si appoggia su una drammaturgia moto definita. All’interno di Ósemán c’è una storia che non è narrata, perché non è un lavoro di danza descrittivo, ma accadono delle cose in riferimento a dei punti precisi sul palco e a degli oggetti, su questi ruota e si sviluppa il racconto. È una realtà onirica, una fiaba, un racconto d’amore pensato come un sogno, come qualcosa che non si capisce bene se sarà realistico o meno. È un po’ come è il sentimento dell’amore quando è vero.
I danzatori saranno accompagnati da immagini?
Non c’è video proiezione. È un piccolo allestimento molto semplice completamente appoggiato sul disegno luci del nostro maestro Fabio Galeotti.
Musiche inedite o edite?
Tranne una traccia, le musiche sono tutte edite però è stato fatto un lavoro molto particolare da Nicola Frattegiani. Un lavoro importante. In lui ho trovato una persona fortemente sensibile che è riuscita esattamente a comprendere quella che era la mia necessità, percependo in pieno la mia visione coreografica.
È uno spettacolo di danza urbana o contemporanea?
Ogni volta che leggo ciò che scrivono del mio lavoro c’è sempre questa caratteristica che emerge: è una danza che non riesce ad essere definita. Credo che in fondo questa stia diventando realmente la peculiarità del mio lavoro, del mio vocabolario gestuale e fisico. Effettivamente la mia è una ricerca rivolta a tutta la danza, non ad una tecnica specifica. Sicuramente quello a cui mi riferisco è la mia formazione di danze urbane, devo dire, però, che fatico a presentarlo come uno spettacolo di danza urbana perché è fortemente contemporaneo.
Forse la “non definizione” di una tecnica non è poi così negativa. Se consideriamo che la ricerca è un moto in continua evoluzione, potremmo forse affermare che la compagnia INC si contraddistingue per uno stile che crea sempre qualcosa di nuovo.
Sì. Se nella danza è stato fatto tutto, nel momento in cui ti trovi a non capire come puoi definire quello che stai guardando, forse, è perché c’è qualcosa di nuovo.
In quest’ultimo anno ci sembra evidente un suo momento creativo in continuo progresso…
Probabilmente dipende dal periodo che sto vivendo. Un periodo abbastanza difficile personalmente parlando. Sono molto concentrato su alcune riflessioni personali e questo, credo, sia motivo di stimolo, crescita, autoanalisi, autocritica. Fattori che portano sicuramente novità.
La caratteristica fondamentale di Ósemán?
Sicuramente è uno spettacolo che pone delle domande. È una riflessione malinconica rivolta a quelle che sono le atmosfere dei ricordi, dell’amore perduto o dell’amore messo in dubbio e degli ideali. Per questo è molto presente l’idea degli stereotipi che abbiamo nella nostra vita che, se da un lato ti danno degli obiettivi, dei target per vivere, dall’altro sono un forte motivo di malinconia perché è come se non si arrivasse mai a ciò che si vede sopra di noi, oltre. Questo è un po’ il leitmotiv del progetto.
Tra il pubblico domenica saranno presenti due ospiti speciali, i genitori di Afshin Varjavandi il cui amore, rispetto e gratitudine per loro emergeranno nello spettacolo.
Ósemán è un riferimento ai miei genitori perché questo lavoro celebra un po’ un rapporto che non c’è mai stato o, quanto meno, che è stato conflittuale sulla scia del mio carattere fortemente ribelle, della continua corsa alla ricerca della mia strada che, automaticamente, mi ha sempre portato a rifiutare qualunque suggerimento di una strada che potesse, nella mia testa, non sembrare la mia. Invece, in questo spettacolo c’è proprio il tributo a quello che mia madre e mio padre mi hanno dato, alle solide fondamenta che hanno saputo costruire in me. Sento che questa mia solidità e il mio equilibrio mi sono stati trasmessi da loro.
Due genitori sempre presenti per sostenerlo a prescindere dalla comprensione o meno dei linguaggi che il coreografo utilizza.
C’è stato un lungo periodo in cui io danzavo molto nella compagnia di cui facevo parte. Ogni volta che mia madre mi vedeva danzare mi diceva: questa è la tua strada. Tu hai un suggerimento divino nell’orecchio che devi condividere con gli altri.
Dietro la malinconia di Ósemán, cosa c’è di Afshin?
Sicuramente il discorso centrale è la solitudine. La solitudine delle persone forti.
Ósemán | Il cielo ideazione, coreografia e regia Afshin Varjavandi, danzatori performer Luca Calderini, Mattia Maiotti, Jenny Mattaioli, Elia Pangaro, Debora Renzi, disegno luci di Fabio Galeotti, suono a cura di Nicola Fumo Frattegiani, una produzione Déjà Donné in associazione con INC InNprogressCollective, ringraziamenti Centrodanza Spazio Performativo, LaMaMa Umbria International, LaMaMa etc. NY.
(Fotografie di Costanza Coloni)