di Marco Morello

L’Umbria è una tra le regioni più piccole d’Italia. La sua superfice supera in grandezza solo Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Liguria e Molise. Come uno scrigno stracolmo di tesori, riassume perfettamente i valori del nostro bel paese: bellezze naturalistiche impareggiabili, reperti artistici e architettonici unici, storia, cultura e tradizione che intridono di meraviglia anche il più piccolo borgo sperduto tra i boschi.

I turisti, guidati dalle agenzie internazionali, seguono le stesse rotte da decenni. Ma la nostra guida ha una passione per gli eremi sconosciuti, per le gole poco frequentate, per tutti quegli infiniti tesori, nello scrigno dell’Umbria, che solo in pochi si sono presi la briga di scoprire. Così Bibo, alla guida del suo SUV indispensabile per le escursioni, invece di continuare la superstrada verso Norcia imbocca in direzione di Visso e Triponzo, per farci scoprire l’altro volto della Valnerina.

Come accade quasi ovunque qui in Umbria, lungo ogni percorso naturalistico si trova una storia tutta da raccontare.

La nostra storia parte da un agglomerato di poche case restaurate di recente, con l’aspetto del tipico microscopico borgo umbro destinato a villeggianti esigenti. Il gruppo di case si sviluppa accanto ad un’antica chiesetta, oggi chiusa. Se torniamo indietro di circa 800 anni, troveremo le stesse unità abitative, ma un gran traffico di carri e persone perché qui sorgeva un ospedale molto frequentato, voluto da San Francesco, pronto ad accogliere e curare pellegrini e lebbrosi provenienti da Umbria e Marche. L’autorizzazione a costruire il Lebbrosario di San Lazzaro in Valloncello fu concessa nel 1218 dal feudatario del luogo al sacerdote della piccola chiesa di San Cataldo. Costruito a ridosso del fiume Nera e a breve distanza da una fonte di acqua sulfurea oggi chiusa, il lebbrosario utilizzava le acque salubri dei corsi  d’acqua per curare i malati e dare sollievo alle loro pene. Benché al suo interno siano ancora presenti le antiche vasche del lebbrosario, oggi non più accessibili perché inglobate nel complesso residenziale, il nostro viaggio non prevede una sosta qui ma è diretto più in alto, verso il bosco tagliato dal torrente Fosso la Valle.

Dalla strada sterrata che sale verso una stalla al limitare del bosco, si imbocca sulla destra un sentiero che sbuca in un grande campo alla sinistra del quale si vedono la costruzione della stalla e gli animali che ospita. Al termine del campo, cogliendo ogni tanto qualche fragolina selvatica, ci si addentra sulla destra nell’ampio sentiero protetto dagli alberi del bosco. All’inizio del percorso un’ampia fossa nel terreno, antica carbonaia probabilmente ancora in uso, è una delle ultime tracce dell’uomo che incontreremo. Proseguendo, infatti, cominciamo a costeggiare il corso d’acqua e ad addentrarci in un territorio incontaminato dove l’uomo ha soltanto cercato, disponendo ogni tanto grosse pietre nell’alveo del torrente, di rendersi più facile l’accesso alla splendida cascata de Lu Cugnuntu.

Il nome è di origini antiche ed è in tutta probabilità legato alla distorsione dialettale del termine latino “coniunctio”, ovvero congiunzione, visto che l’acqua che alimenta la cascata è il frutto del congiungimento di due torrenti, il Fosso di San Lazzaro e il Fosso Acquastrino che si uniscono al vertice della gola poco prima del salto di 20 metri che origina il torrente sottostante.

Il percorso, di per sé facile, presenta come unica difficoltà il fatto che, a metà circa del tragitto, il sentiero passa frequentemente da una parte all’altra del torrente che va quindi guadato di continuo, per arrivare a un punto in cui torrente e sentiero coincidono completamente. Si rende necessario quindi camminare in equilibrio sulle pietre o scegliere la strada di proseguire senza remore camminando nell’acqua.

Il tragitto non è lungo. Se ci si aiuta con un bastoncino da nordic walking guadare nei punti idonei risulta talmente facile da poter considerare questa escursione adatta anche a bambini dai 6 anni in su, purché abbastanza agili ed attenti da camminare sui sassi e ben disposti per gestire senza patemi ma con divertimento l’idea di bagnarsi un po’ lungo il percorso.

Proprio dopo la curva in cui si è costretti a camminare nel torrente (o sulle pietre) si inizia a sentire uno scroscio più forte e dopo qualche minuto in cui progressivamente i colori e la luce cambiano all’interno della gola che si restringe, ci si ritrova di fronte a un taglio nella roccia, una spaccatura alta oltre 20 metri in cui la vegetazione sparisce e restano visibili solo le alte lastre di pietra. Addentrandosi per pochi metri in questa gola si può assistere allo spettacolo della piccola cascata de Lu Cugnuntu, un regalo che la natura ci ha fatto e che continua a rimanere incontaminato grazie alla scarsa pubblicità fatta a questa parte della Valnerina, ricca di anfratti, borghi e storie da raccontare.

ATTREZZATURA CONSIGLIATA: MAI PARTIRE SENZA LE DOVUTE ACCORTEZZE

È indispensabile indossare scarpe da trekking o scarpe da torrentismo fatte apposta per potersi bagnare. Chi proprio non vuole correre il rischio di bagnarsi i piedi dovrà pensare a soluzioni più pesanti come anfibi a mezza gamba o calzature da torrentismo più alte. Spesso il sentiero corrisponde con la sede del torrente. A seconda della portata dell’acqua (più alta in inverno e primavera e più bassa d’estate) ci si ritrova ad attraversare il corso d’acqua a volte potendo fare affidamento su una traccia di sassi e tronchi ma altre volte, specie quando le piogge hanno arricchito il flusso, si rischia di dover immergere il piede in acqua. Si tratta di pochi centimetri, niente che nei punti di guado vada oltre la caviglia, ma quanto basta per bagnarsi.  Io ho seguito tutto il percorso senza mai bagnarmi con un paio di normalissime scarpe da trekking leggere che coprivano solo fino alla caviglia. Si suggerisce anche di usare uno o due bastoncini da nordic walking, utilissimi come appoggio nei numerosi attraversamenti. Un solo bastoncino è più che sufficiente ed è l’ideale per chi voglia fare anche delle fotografie lungo il percorso. Si suggerisce di portare attrezzatura fotografica leggera o un solo obiettivo zoom per gli amanti delle reflex perché a volte ci si ritrova a scattare in bilico su un masso dondolante e più è facile gestire l’attrezzatura più soddisfazione trarremo dall’esperienza. Per un’escursione in piena sicurezza gli escursionisti più severi consigliano di avere con sé un caschetto: quando si arriva nella gola della cascata il rischio di caduta massi, benché minimo, esiste. Non sarà necessario indossare il casco protettivo durante tutta l’escursione ma alla fine, quando si raggiunge la gola, offre certamente la possibilità di chiudere la gita in modo sereno e sicuro.