È Luigi, il fratello maggiore, ad accompagnarci a casa di Massimo. Ci racconta per ogni oggetto l’episodio che lo lega al suo ricordo, a quello che ha vissuto intimamente e che lo ha reso il ragazzo, l’uomo che amiamo ricordare più che l’attore, l’artista che conosciamo.

di Annamaria La Penna

Si trova a Villa Bruno in San Giorgio a Cremano la Casa di Massimo Troisi. No, non è la vera casa precedentemente abitata dal grande Massimo ma un luogo dove sono raccolti gli oggetti della sua casa di Roma, quelli di cui amava circondarsi e che viveva coi suoi amici, quelli che in un modo o nell’altro, hanno fatto la storia della persona e del personaggio, che ricordano aneddoti privati prima ancora che pubblici.

È Luigi, il fratello maggiore, ad accompagnarci a casa di Massimo. Ci racconta per ogni oggetto l’episodio che lo lega al suo ricordo, a quello che ha vissuto intimamente e che lo ha reso il ragazzo, l’uomo che amiamo ricordare più che l’attore, l’artista che conosciamo.

Non serve mostrarci nulla. Tutto è lì, pronto e disponibile, lo puoi toccare con delicata venerazione mentre la mente vola, l’anima vibra e cerca un ricordo personale, pone una domanda per avvicinarlo ancora un po’ a sè. Non sai dove posare lo sguardo, tutto ti chiama, qualcosa in modo più forte ed insistente di altri e nulla vorrebbe passare inosservato. Sembra che il desiderio di vivere di Massimo sia trasmigrato nei suoi oggetti più cari e lo mantenga ancora lì tra le sue cose, ospite accogliente nella sua casa, per I suoi amici. E come un tempo, trovano spazio e parole il divano di vimini su cui Gianni Minà lo ha più volte intervistato, i copioni originali dei suoi film, la sedia da regista col suo nome, la bici del Postino, la giacca sportiva che ha comprato in America quando è andato per vacanza ed è passato a Huston per farsi mettere a punto le valvole cardiache, la borsa di calcio che amava tanto e raramente usava per la sua cagionevole salute, i manifesti dei film in proiezione a suo tempo, i souvenir (almeno uno per ciascun set cinematografico) che amava conservare, gli strumenti musicali che non sapeva suonare ma che aveva pronti per gli amici che lo andavano a trovare. Un po’ pigro ma dal cuore grande, accoglieva Pino Daniele, Lello Arena, Enzo De Caro e tanti altri e lì trascorrevano ore felici, scambiavano idee, lì nascevano canzoni, ritornelli e poesie, riflessioni, battute e risate che, in un modo o nell’altro avremmo successivamente trovato sui palcoscenici, nei set, nella vita di Massimo e dei suoi grandi amici.

Ma troviamo anche ritratti e quadri di tanti momenti pubblici e privati a partire dalla prima foto con la quale vinse il premio Mellin come bimbo più bello a rappresentare la nota ditta di biscotti fino al suo ultimo scatto sul set de Il Postino durante il quale, a fine giornata, disse “ricordatevi di me”. Come dimenticarlo? Massimo rappresentava e rappresenta per i cittadini del mondo la napoletanità, l’umiltà dei semplici, dei poveri ed allo stesso tempo la ricchezza dell’anima, del cuore. Con la sua arte ti travolge e ti accompagna nell’esorcizzare il male e nell’assaporare il dono della vita attraverso la contrapposizione del“ giusto e dell’ingiusto”, del “sacro e del profano”, del “serio e del faceto”.