“Dopo aver visto una rappresentazione dell’Enrico V mi innamorai della storia, tra l’altro, proprio in quel periodo anche io tiravo con l’arco. Quindi questa mia passione unita al racconto delle battaglie importanti degli inglesi in Francia hanno scatenato in me un ‘qualcosa’ che poi ha portato alla costruzione di Enrico e Quinto. “
di Francesca Cecchini
La vita di un uomo (o forse più) passa per il teatro e accoglie il pubblico in un monologo che parla di sé, della passione del tiro con l’arco e della necessità di essere felici. Sarà il Teatro Subasio di Spello ad ospitare, questa sera, 18 marzo, alle ore 21.15, ‘Enrico e Quinto’ un monologo originale e introspettivo interpretato da Stefano Cipiciani, su drammaturgia curata da Masssimiliano Burini e regia di Massimiliano Civica. In scena, partendo dalla storia narrata da William Shakespeare, l’attore rielabora e ripercorre non solo la battaglia di Azincourt, che rese Enrico V di Inghilterra conquistatore di Francia, ma ci mostra quello che sembra essere, forse, l’alter ego di se stesso, rappresentato da un tiratore d’arco. Tra popolo e nobiltà c’è lui, Cipiciani, che si mette a nudo e, tra linguaggio forbito e un perugino non troppo spinto, parla anche di sé, di ciò che il teatro ha rappresentato (e rappresenta) per lui e della sua “piccola vita”. Per meglio comprendere come questi personaggi riescano a dar voce ad un monologo interiore così originale abbiamo incontrato il protagonista che, dismessi gli abiti di Presidente di Fontemaggiore Centro di Produzione Teatrale (curatore della stagione di prosa al Subasio), ha deciso di indossare – cosa rarissima – gli abiti di attore.
Come nasce l’idea di questo spettacolo?
Lo spettacolo esiste sin dal Novanta. Dopo aver visto una rappresentazione dell’Enrico V, allora, mi innamorai della storia. Tanto più che, tra l’altro, proprio in quel periodo anche io tiravo con l’arco. Quindi questa mia passione unita al racconto delle battaglie importanti degli inglesi in Francia hanno scatenato in me un “qualcosa” che poi ha portato alla costruzione di Enrico e Quinto.
Sul palco una figura in bilico tra arciere e attore…
Il lavoro dell’arciere rappresenta, secondo me, un po’ anche quello dell’attore. L’arciere deve sempre compiere lo stesso tiro per raggiungere il suo obiettivo. Così come l’attore deve sempre percorrere la stessa strada per compiere il viaggio che, in quel momento, gli appartiene. E deve sempre trovare la motivazione giusta che gli consente di interpretare lo stesso personaggio tutte le sere della performance.
La storia è sua ma come entrano in scena drammaturgo e regista?
Come ti dicevo prima, l’idea è mia ma, avendo già portato in scena uno spettacolo su un partigiano e sulla Seconda Guerra Mondiale, avevo paura di proporre qualcosa di troppo simile. Per non compiere errori, dunque, ho pensato di coinvolgere Massimiliano Civica per avere un indirizzo esterno e capace. Per quanto riguarda il testo, la drammaturgia nasce dalle prove, di volta in volta. Io improvvisavo e Massimiliano Burini, raccolti i “frammenti”, li metteva in fila e costruiva un testo definito.
Il dialetto perugino, che usa in alcuni momenti, è scelto per infrangere la quarta parete ed avvicinarla al pubblico?
Ci sono dei momenti in cui a parlare è Shakespeare, altri in cui parlo io e altri ancora in cui le parole sono di Quinto (NdR. l’arciere), ovvero uno del popolo. Io e Quinto ci rivolgiamo al pubblico perciò, per risponderti, è un modo per coinvolgerlo di più.
Ho notato che questo spettacolo è stato inserito anche in rassegne di teatro ragazzi …
Si, l’abbiamo già proposto ad un pubblico più giovane e l’esperimento, devo dire, è ben riuscito. La storia e il periodo calzano a pennello per i ragazzi. In più considera la scena: ti trovi sul palco un attore/arciere che l’arco lo tira davvero e le frecce non te le lascia immaginare, sono più che reali. E’ particolare ed è un atto che incuriosisce molto il pubblico, soprattutto quello di più giovane generazione. L’arco è un ottimo strumento di mediazione per attirarli.
L’arco però già c’era. Non è stato aggiunto per questo…
L’arco faceva parte del gioco, era fondamentale e non è stato aggiunto. L’arco, Shakespeare, tutto parla della mia storia teatrale, del perché amo il teatro.
Perché è arrivata in un certo momento della sua vita l’esigenza di parlare della sua visione del teatro?
La passione. Sono quasi quaranta anni che praticamente vivo e lavoro nel campo teatrale e avevo voglia di raccontare questo mio grande amore per l’arte. Se hai una passione la devi coltivare anche con tutte le difficoltà che questo comporta. Il problema, al giorno d’oggi, è che non tutti hanno la capacità di riconoscerne (o di averne) una. Avere qualcosa in cui credere e per cui lottare è fondamentale nella vita di una persona. Per me è il teatro.
Quando parla di “dover essere felici” mi viene in mente che, in una società insicura come la nostra, ci sia una estrema necessità di esserlo…
Non dobbiamo mai dimenticarci di essere felici altrimenti viene da sé che ci accontentiamo troppo. E siccome questa vita è già dura, fatta di scelte difficili, sacrifici e compromessi, occorre trovare un sistema per aiutare noi stessi, per cercare di essere il più possibile sereni.
Enrico e Quinto: con Stefano Cipiciani, drammaturgia di Massimiliano Burini, regia di Massimiliano Civica, disegno luci Pedro Pablo Pulido Robles, tecnico di scena Stefano Spellucci, fotografia di Sara Mazzorana, produzione Fontemaggiore.