Uno scambio di emozione tra quadri che scorreranno in scena e il pubblico seduto in platea in “Itaca”, spettacolo che sabato sarà al teatro della Filarmonica di Corciano. Sul palco, tra musica e narrazione, Lino Guanciale che in un’intervista ci descrive non solo la sua visione dell’Ulisse, ma ci parla della sua passione per il teatro e di #everychildismychild

di Francesca Cecchini

Non solo protagonista di serie televisive di successo e di noti film sul grande schermo, ma anche attore che nel teatro trova la sua casa, Lino Guanciale arriva a Corciano il prossimo 25 novembre (ore 21) con Itaca. Sul palco del teatro della Filarmonica, nell’ambito della stagione curata dal TSU, l’artista, diretto da Davide Cavuti, andrà in scena in un viaggio che parte da Itaca e dalla figura di Ulisse, eroe non solo di Omero, ma anche di Dante, Pascoli, D’Annunzio, Joyce e di altri ancora, in cui le storie di vari personaggi scorreranno in una sorta di fusione e scambio di emozioni, immagini, pensieri. “I luoghi del racconto – si legge nelle note di regia – non sono mai astratti, con un denominatore comune che è il mare, padrone di ogni avventura e sventura, graffiante, pieno di occhi misteriosi che inseguono, irresistibili. Il mare e la vita: la libertà e la speranza, la voglia di ricominciare, la pace tra i popoli con l’incanto degli occhi sulla storia”.

Una drammaturgia nata da Cavuti, ma, come ci spiega Lino Guanciale, costruita insieme all’attore man mano che il progetto cresceva, “l’impronta data alla drammaturgia è quella dell’antologia sentimentale”, una serie di quadri legati al “tema del viaggio, della scoperta e della conoscenza di sé, che è il nucleo portante tematico dello spettacolo”.

In questo viaggio la musica accompagnerà la narrazione o avremo un dialogo?

Entrambe le cose perché Davide Cavuti ha integrato molto bene la musica nel discorso. Ci sono brani tratti da colonne sonore di film che vengono citati nello spettacolo e ci sono parti musicali tematicamente legati ai testi che reciterò o leggerò. Quindi, c’è un continuo dialogo tra la musica e i pezzi che gli spettatori ascolteranno recitare.

Chi è Ulisse?

Ulisse l’ho sempre letto così, l’uomo in cerca di se stesso. Non collezionista di esperienze, ma desideroso di riempire la propria vita di più alterità e incontri possibili, di avere maggior contatto con la complessità del mondo. È, per me, fino all’ultimo, il modello della fede nella propria curiosità, intesa come valore. Il suo è un viaggio nella conoscenza che, dal mio punto di vista, è quello che dà sale a qualunque esistenza. Una vita comincia a essere arida quando ci si accontenta di un orizzonte molto prossimo.

Il suo Ulisse rappresenterà sul palco anche l’uomo contemporaneo?

Sì, inevitabilmente, ma con lo spirito di mostrare che in realtà la transizione, il desiderio di scoprire cose non rende instabili, rende più ricchi. Il vero impasse non nasce dalla curiosità. Nasce dall’illusione di potersi fermare. La cosa bella in scena è che tutto è creato utilizzando autori raffinati ma anche popolari. Chi verrà a vedere lo spettacolo “assaporerà” tanto Dante quanto Totò o Ennio Flaviano e molti altri. C’è un accenno a vari “Ulisse” toccati dalla storia della nostra letteratura.

Un monologo molto impegnativo.

Sì, in forma di recital. Alcune cose saranno volutamente lette per passare anche l’idea, che mi piace molto, agli spettatori che questa cosa possono farla anche da soli a casa. Possono divertirsi a leggere ad alta voce. Poi ci sono brani che sono ovviamente recitati perché, secondo me, necessitano della costruzione della magia di relazione particolare che viene fuori dal contatto tra attore e spettatore, non mediato da fogli di lettura.

Anni in teatro, poi, l’esordio in tv e al cinema. Il teatro quale mezzo per arrivare al piccolo (e grande) schermo o la televisione per valorizzare il lavoro teatrale?

Sicuramente la decisione – perché è stata una decisione – ad un certo punto di fare televisione è stata in qualche modo strumentale. La tv dà una risonanza e una visibilità diversa ad un attore. Non sto dicendo che i lavori fatti in tv abbiano meno valore, tutt’altro, però, ovviamente, quello che fai in televisione spesso è semplificato dal linguaggio del genere, che, ad esempio, traduce dei personaggi che magari funzionano molto bene ma hanno poca dimensione. Quella presenza televisiva lì va in qualche modo integrata da un lavoro più complesso. In questi anni il teatro non l’ho mai lasciato un po’ perché è proprio casa mia, un po’ perché ho cercato di costruire opportunità per il pubblico che si incuriosiva a me in televisione, per farmi conoscere in maniera più completa, perché a teatro puoi toccare molte più corde. Secondo me gli attori che hanno un nome dovrebbero fare lo sforzo di cimentarsi in spettacoli teatrali, come ad esempio questo che porteremo in scena a Corciano, che magari non sono convenzionali, ma in forma di recital, che aiutano a costruire un rapporto più intimo con lo spettatore. C’è bisogno che il pubblico teatrale ricominci a fare esattamente questo: avere un contatto con gli attori più prossimo perché si ristabilisca radicalmente, più diffusamente, l’abitudine di andare a teatro. Che è una cosa che negli ultimi tempi si è un po’ smarrita.

Il 13 novembre scorso è uscito in libreria #Every child is my child. Storie vere e magiche di piccola, grande felicità” scritto da trentatré artisti del mondo dello spettacolo con l’intento di raccogliere fondi per costruire la Plaster School in Siria. Lei è uno degli autori.

“Every child is my child” è una iniziativa umanitaria di sostegno ai bambini che patiscono i contraccolpi e gli effetti durissimi, tragici e collaterali della guerra. In particolare, in questa occasione, per raccogliere fondi per la costruzione di una scuola in Siria, quindi, per fare un investimento sull’istruzione delle giovani generazioni. Abbiamo deciso con altri artisti, sotto l’impulso iniziale di Anna Foglietta, di far diventare quella che era inizialmente solo una campagna di protesta, una – ci dice scherzosamente – vera e propria “associazione a delinquere” di musicisti, attori e altro, legati dalla volontà di muoversi in favore di questa esigenza. Così è nata l’idea di scrivere un libro a “tante mani” che fosse un insieme di ricordi personali, legati alla propria infanzia o all’adolescenza – preferibilmente all’infanzia – che abbiano segnato o la vocazione, le scelte, la personalità di ognuno di noi, o radicalmente di scrivere una vera e propria fiaba. Io sono tra quelli che si sono cimentati in questa “scrittura fiction”. Secondo me è un libro che va acquistato per la destinazione dei fondi che propone, ma anche per il contributo immaginativo molto personale di tutti coloro che hanno partecipato. Inoltre, può essere un’occasione, in qualche modo, per incentivare all’azione altri artisti che potranno così, anche in altri modi, dare un contributo interessante ad azioni come queste.

Tutti e trentatré gli artisti hanno partecipato in maniera volontaria, senza essere retribuiti: “se dovete pensare a un regalo di Natale letterario per grandi e piccini – conclude Guanciale – questa mi sembra un’ottima scelta”.