Passione per la ricerca e la bellezza della scienza alla base di Famelab, primo talent show scientifico per giovani ricercatori, che ha visto la finale nazionale gli scorsi giorni a Roma. Sul podio anche un umbro, Gabriele Scattini, che ci racconta in un’intervista di piantine geneticamente modificate da utilizzare per malattie genetiche rare
di Francesca Cecchini
Una narrazione dinamica e semplice, mai banale, accompagnata da una piantina, teorie su supereroi e mutanti (un genere che spesso fa salire in noi quella sensazione di diffidenza per l’ignoto), questi gli ingredienti utilizzati da Gabriele Scattini per descrivere in soli tre minuti l’argomento delle mutazioni genetiche durante la finale di Famelab Italia, primo talent show scientifico per giovani ricercatori promosso da Psiquadro in collaborazione con il British Council Italia, andato in scena la scorsa settimana all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Scattini, iscritto al corso di Biotecnologie Farmaceutiche presso l’Università degli Studi di Perugia ed attualmente impegnato nell’attività di tirocinio presso i laboratori di Farmacologia del Dipartimento di Medicina Sperimentale in collaborazione con l’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR a Perugia, ha guadagnato il terzo posto (su venti concorrenti provenienti da tutto il territorio nazionale) per “aver affrontato un tema di stretta attualità come gli Ogm attraverso l’utilizzo di strumenti e competenze provenienti dalla propria esperienza di formazione e di ricerca”.
Ed è proprio Gabriele che, tra un esperimento e l’altro, ci spiega con parole semplici l’argomento trattato sul palco della gara di comunicazione tra giovani ricercatori.
“Ho parlato degli organismi geneticamente modificati ossia di organismi che vengono modificati per fare qualcosa che normalmente non fanno. L’esempio usato è stato quello di una pianta che può produrre una proteina umana”. Un escamotage per spiegare come, tramite la modificazione genetica delle piante, sia possibile estrarre dei componenti per produrre un farmaco. “Per dirla in modo più tecnico questi si chiamerebbero farmaci biotecnologici ossia non prodotti per via chimica, ma per via biologica. Sono definite proteine terapeutiche utilizzate per malattie generiche rare. Nel mio caso era per l’emofilia”.
Un terzo posto in un contest nazionale unico come quello del Famelab è un ottimo risultato.
“Assolutamente sì. E totalmente inaspettato perché considerando anche il livello alto degli altri concorrenti, non era affatto scontato”.
Cambierebbe qualcosa del suo racconto sul palco?
“Durante la selezione locale a Perugia ho utilizzato molti oggetti e tutto era più colloquiale. A Roma ho portato con me solo una piantina. Forse avrei potuto fare qualcosa di diverso ma era tutto voluto per non rendere l’argomento serio “troppo” leggero. Non volevo assolutamente rischiare di ridicolizzarlo”. E così infatti non è stato. Anche noi non esperti del campo abbiamo potuto ben comprendere l’argomento esposto, cogliendo la serietà tra le righe della semplicità del racconto di Scattini. Il ricercatore ha anche dimostrato una forte vena narrativa aldilà delle teorie scientifiche: “credo che mi abbia aiutato molto in questo anche l’essere scout da tanti anni”.
Lei ha partecipato a varie iniziative Psiquadro come Isola di Einstein e Sharper come volontario “dietro le quinte”. Qual è il motivo che l’ha spinta ad iscriversi a Famelab come “protagonista”?
“Misurarmi con me stesso innanzitutto e vedere fin dove potevo arrivare. Poi c’è stato un evento molto particolare. Durante un esame una professoressa mi ha detto che ero troppo tecnico e che avrei dovuto essere più leggero nel descrivere, che avrei dovuto dare un’infarinata al discorso prima di scendere nel dettaglio. Lì – ci dice sorridendo – ho pensato di dover provare Famelab”.
Di cosa si occupa esattamente all’Unipg?
“Al momento sto facendo il tirocinio per la tesi. Mi è stato affidato un progetto in collaborazione con il CNR e stiamo provando a sviluppare un farmaco all’interno di piante”.
Come nel suo racconto di tre minuti. Risultati?
“Non posso e non voglio espormi troppo ma posso dire che la difficoltà maggiore è poter asserire realmente se questo possa essere o meno, utilizzato realmente come farmaco. Un farmaco che, tra l’altro, già esiste (usato per il trattamento e la prevenzione delle emorragie in pazienti con emofilia A) ma viene prodotto con delle cellule di mammifero (linee cellulari). Noi stiamo cercando di vedere se le piante sono in grado di sostituirle”.
Produrre, quindi, lo stesso farmaco ma sostituendo le linee cellulari mammifere con altre estratte dalle piante geneticamente modificate…
Esatto. Questo potrebbe portare alla diminuzione di alcuni effetti indesiderati del farmaco e, magari, avere una produzione ad un costo minore. Considera che una dose al momento costa circa 600-700 euro.
Durante il mese di aprile i venti finalisti hanno partecipato ad una Masterclass di preparazione alla finale al POST di Perugia affiancati da Leonardo Alfonsi, Massimiliano Trevisan e Frank Burnet, ideatore e creatore di Famelab.
Qual è il più grande insegnamento di Frank Burnet?
“L’enfasi che Frank mette nel dire anche la cosa più semplice. Il riuscire a rendere straordinaria anche solo una singola parola”.
(Fotografie di Marco Giugliarelli)