di Marco Morello
UN FRATE FRANCESCANO CON LA PASSIONE PER MICHAEL JACKSON DIVENTA IL SIMBOLO MUSICALE DELLA CITTA’ DI SAN FRANCESCO
Nel chiostro del convento francescano dell’Ordine dei Frati Minori di Assisi, alberi secolari abbracciano d’ombra i tavolini dove mi siedo con Frate Alessandro. La figura minuta e ordinata, il sorriso aperto, i riccioli appena accennati, l’aspetto curato ma non lezioso ci fanno capire che questo frate di campagna, come si definisce lui, non ha perso la testa dopo essere diventato un artista di fama internazionale.
Ama Bach, Michael Jackson, la musica elettronica e quella barocca. Nell’intervista cerco di seguire i due filoni principali della sua vita, le sue due profonde passioni: la musica e la fede. E scopro che l’una e l’altra, per Alessandro, sono due facce della stessa medaglia, due modi per esprimere e condividere un percorso che porta a quella che lui chiama “la bellezza di Dio”.
Quali sono le origini della tua passione per la musica e dell’interesse per la spiritualità?
“Sono stato un bravo bambino che, assecondando i genitori, andava volentieri a catechismo e a messa, ma niente di più. Per la musica il legame è più profondo e lontano: ha suscitato in me un grande interesse molto presto, tanto che a 9 anni prendevo lezioni per imparare a suonare l’organo. A 14 anni la mia passione era già molto radicata. Mi sono iscritto a una scuola sperimentale dove alle normali lezioni scolastiche si aggiungevano tre ore pomeridiane di studio dedicato alla musica. In quel periodo sono anche entrato al conservatorio e fino ai 19 anni, sempre continuando a studiare l’organo, ho provato a cantare nel coro, ma pare che la mia voce non fosse adatta a quel tipo di espressione.
In questo percorso di vita nella musica, il lato spirituale della mia esistenza ha avuto alti e bassi. Mi appassionavano la filosofia e i temi spirituali ma intorno ai 16 anni ho avuto un momento di profonda crisi. Ero confuso, tentato da esperienze autodistruttive, completamente disorientato. Ho chiesto un segno a Dio, un aiuto per individuare una strada. Sono andato in un bosco, mi sono sdraiato sull’erba a guardare il cielo e ho avuto un’esperienza mistica talmente intensa, un senso di pace e serenità, di perfetta comunione con tutto il creato, tale da piantare in me il seme di una vita diversa. Quel giorno io ho visto la bellezza di Dio.
Negli anni successivi ha preso forma sempre più chiara il sentimento di cose diverse da quelle che sperimentavo nel quotidiano. Sentivo che non mi serviva più quello che avevo, di dover fare una scelta. Mi sentivo vicino alla strada percorsa da San Francesco. Dopo qualche anno decisi che non potevo seguire questa mia nuova vocazione senza sacrificare qualcosa, quindi smisi di studiare l’organo, che richiedeva molte ore di esercizio, per occuparmi più seriamente della mia vita spirituale.”
Com’è nato il rapporto con la Decca che ha portato all’incisione del tuo primo disco?
“Per entrare nell’ordine dei frati minori era necessario chiudere il mio percorso di studi sostenendo un ultimo esame di canto che gli insegnanti ritenevano fosse al di sopra delle mie possibilità. Così iniziai a fare esercizi di respirazione e mi impegnai ogni giorno per ore. Superai l’esame a pieni voti e iniziai la mia tappa successiva per diventare frate.
Nei primi anni di vita nel convento, continuai a coltivare il canto. I miei superiori ritenevano, come vuole la regola francescana, che le mie doti non dovessero essere abbandonate ma piuttosto coltivate. Sono stati anni di profonda ricerca interiore in cui non solo la musica ma anche la fede sono state motivo di grandi cambiamenti personali. Nel mio percorso di rafforzamento della fede e della fiducia nella mia dote, mi sono trovato ad abbandonare sia la musica sia il convento. Ma quando sono tornato, sia alla musica sia alla vita conventuale, ero più forte e più sicuro nel canto e nella vocazione.
Così tenevo dei piccoli concerti. E proprio durante uno dei miei concerti in una piccola chiesa un manager mi notò e mi chiese se volevo fare un provino. Era il 2011 e io avevo 33 anni. Il provino piacque. La casa discografica era la Decca.”
Frate Alessandro ha già raccontato questa storia centinaia di volte. Da quando nel 2012 ha inciso il suo primo disco, “La voce di Assisi”, è stato a Londra per le registrazioni e per il tour di promozione. Eppure parla sempre con il sorriso a fior di labbra e con sincero entusiasmo.
“Hanno una mentalità diversa,” ci spiega quando parliamo dell’esperienza londinese. “Quando è arrivata la scaletta per la promozione, l’attività era serratissima, interviste ogni mezz’ora, brevi pause da 15 minuti. Mentre mi leggevano il programma li ho fermati e ho detto Ragazzi, io sono italiano: all’una mangio!”
Se a tavola volete far contento Frate Alessandro, puntate sui dessert: tiramisù e torta di mele al primo posto. Ma non dimentichiamoci che Alessandro è umbro, ama la sua terra e le sue tradizioni, anche in cucina, quindi fettuccine al tartufo ma anche funghi e carne sono nella sua top ten dei cibi preferiti.
Ti piace viaggiare?
“No, per niente. Da buon umbro mi piace la mia campagna. Adoro il lavoro manuale. Se fosse per me avrei sempre le mani sporche. Mi piace lavorare il legno, riparare oggetti, antichi strumenti musicali… Se potessi scegliere, non prenderei mai più un aereo. Quello che mi spinge a non chiudermi nella pace del convento e del laboratorio di falegnameria è che questo nuovo lavoro al servizio di Dio mi consente di conoscere tantissime persone, di condividere la mia passione e la mia esperienza. E le persone che incontro sono belle. È come quando lavori il legno: se il legno è buono, lavori bene. Io devo dire che l’umanità è legno buono”.
Come si conciliano la vita ritirata di un frate e il voto di povertà con l’attività di pop star?
Prima di rispondere sorride. Abbiamo parlato a lungo della sua passione per Michael Jackson, della sua ammirazione per il lavoro musicale e artistico profondamente innovativo del cantante americano. Quando parla di sé come un “tenorucolo di campagna” lo fa con l’approccio filosofico dei frati minori, la cui vita è da considerarsi sempre “al servizio”. Non si sente una star. Capisce profondamente però, come gli ricordano in continuazione i suoi amici e i suoi superiori, che la sua dote musicale oggi lavora sempre al servizio dell’evangelizzazione, così come è nella cultura e nella pratica francescana. Se uno sa un mestiere, continui a farlo, diceva San Francesco. Il dono che Dio ti ha dato è un’occasione che non bisogna sprecare.
“La parola voto ricorda il termine vuoto. Si fa il vuoto dentro di sé per farsi riempire da Dio. Povertà non vuol dire indigenza ma condivisione. Il poco che ho lo condivido con gli altri, con i fratelli del convento, con gli amici, con le persone che incontro. I proventi dei dischi, quello che resta dopo che la casa discografica ha pagato tutto il lavoro che c’è dietro la produzione di un disco internazionale, andrà a finanziare direttamente le missioni dell’Ordine; stiamo ancora aspettando che arrivino tutti i soldi, ma intanto con quanto abbiamo ricevuto siamo riusciti ad aiutare il progetto ANED che si occupa di formazione e tutela soprattutto delle donne in nord Africa.
Molte persone immaginano che i frati stiano chiusi tutto il giorno nel convento a pregare: questa non è la vita dei frati. I momenti di preghiera e di fraternità sono importanti, ma poi ogni frate ha una pianificazione annuale o triennale di servizi che svolge o all’interno del convento per garantirne il funzionamento o all’esterno, aiutando le persone indigenti, lavorando nelle missioni, officiando funzioni religiose, insegnando. Io per esempio tengo lezioni di canto sia ai frati sia a persone esterne. Noi frati viviamo nel mondo, accanto alle persone che hanno bisogno di noi, al loro servizio. Il mio servizio nel mondo pare dover essere quello di cantare, per portare il messaggio della fede con altri mezzi, usando il linguaggio universale della musica.”
Quale musica piace a Frate Francesco e che cosa ci consiglia di ascoltare?
Mi accorgo che l’ho chiamato Francesco e dopo qualche secondo di imbarazzo mi correggo: “scusa, Alessandro”. Lui sorride e mi dice: “Mi capita spesso. È successo anche in televisione con Carlo Conti e Massimo Giletti. E le persone mi dicono, anche se nessuno lo ha mai visto, che assomiglio a San Francesco. Sarà che vivo qui ad Assisi, sarà che sono di statura minuta come lui, ma capita che mi chiamino Francesco.
Ora ho poco tempo per ascoltare la musica. Non si può immaginare quanto sia impegnativo realizzare e promuovere un disco. Adesso esce il secondo CD con i canti di Natale, Voice of Joy, (in Italia si chiamerà “Tu scendi dalle stelle”) e sarò sempre più impegnato. Quello che ci tengo a dire è che i gusti personali sono un punto di partenza importante ma non sono tutto. Per me il canto gregoriano è da ascoltare come pure la polifonia rinascimentale e tutto il lavoro di J.S. Bach. Anche l’opera lirica fa parte di un tessuto di cose che vanno conosciute per poter apprezzare appieno molta musica contemporanea. E nella musica contemporanea, Michael Jackson – che per me è il più grande innovatore dei nostri tempi – mi ha aperto la strada per conoscere e capire il minimalismo di Philip Glass o il lavoro nell’elettronica di Amon Tobin. Ma oltre il gusto personale, bisogna essere aperti. Tutta la bella musica è bella. Anche se non rientra nei canoni del nostro gusto, escluderla è un errore che ci impoverisce. Il nostro gusto dev’essere una guida, non un muro. Quando un progetto musicale di valore è bello, anche se non combacia con i nostri gusti dobbiamo provare a fargli superare la barriera del nostro muro personale, dobbiamo accoglierlo. Non sarà il nostro genere preferito, ma ci apre verso il mondo di altre cose belle. Questo vale per tutto, nella vita. Se invece di escludere proviamo a includere le cose nuove, la nostra strada verso la bellezza del Creato sarà più facile e ci riempirà di soddisfazione.”
Che consiglio daresti a un giovane che vuole intraprendere una carriera musicale o spirituale?
“Vorrei sfatare il mito del piacere a tutti i costi. Nella vita non è detto che si debba fare sempre e solo ciò che ci piace. Se si vuole vivere un’esistenza piena e soddisfacente bisogna piuttosto ascoltare le proprie capacità e seguirle. In questo modo si raggiunge l’essenziale. A questo livello, la vita prende senso pieno, diventa un atto evangelico anche se non si è credenti.”
Che cosa conta veramente, quindi, nella vita?
“Se c’è una cosa che ho capito, nel percorso ancora lungo che sto facendo e che farò, è che nella vita bisogna ogni giorno essere grati. Ringraziare per quello che abbiamo, sia poco o sia tanto, è la chiave. La gratitudine ci porta a un livello più alto, dove possiamo sperimentare con gioia, liberi da timori e limitazioni, la bellezza di Dio.”
(foto di Matteo Vicarelli)