Istituito con legge regionale nel 1974 e realizzato con la collaborazione del Comune e della Cassa di Risparmio di Città di Castello, il centro delle documentazioni botteghe artigiane e tradizioni popolari, è stato pensato e voluto per tramandare ai posteri, una documentazione completa e fedele delle condizioni della vita contadina
di Barbara Maccari
Nell’immediata periferia di Città di Castello, dove inizia a farsi vedere il volto della campagna, si scorge un complesso, completamente ristrutturato, composto da un’elegante villa settecentesca, già di proprietà dei marchesi Cappelletti, con annessa casa colonica, collocato in un ambito naturale mantenutosi ben conservato nel tempo e contraddistinto dalla tipica vegetazione della zona in prossimità del fiume Tevere, che scorre a poche decine di metri dalla villa e dal parco. Istituito con legge regionale nel 1974 e realizzato con la collaborazione del Comune e della Cassa di Risparmio di Città di Castello, il centro delle documentazioni botteghe artigiane e tradizioni popolari, è stato pensato e voluto per tramandare ai posteri, una documentazione completa e fedele delle condizioni della vita contadina. Il centro è stato realizzato anche grazie al contributo di Livio Dalla Ragione, grande appassionato della cultura popolare. Non si tratta però di un museo, come tiene a precisare il direttore Tommaso Bigi che ci ha accompagnato nella nostra visita, ma di un centro di esercitazione: “Tutti gli oggetti che trovate qui non sono etichettati: non è un museo dove gli oggetti sono sistemati dentro a delle bacheche e poi esposti. In questo centro gli oggetti si trovano esattamente nella stessa posizione di quando venivano utilizzati, sono qui a chiederti usami”. Proprio questa caratteristica lo rende un centro unico in Italia: gli oggetti di Garavelle non devono essere messi a nuovo né riverniciati, devono solo essere protetti e lasciati come erano un tempo. Arrivano turisti da tutte le parti del mondo: Australia, Inghilterra, Svizzera, Francia, perfino Vittorio Sgarbi, venuto in visita privata, si è innamorato di questo luogo. La visita al centro di documentazione è organizzata in base al ciclo e all’uso degli attrezzi e degli oggetti: si parte con la lavorazione della terra, poi c’è la semina, la raccolta, il trasporto e infine la conservazione. Provengono per la maggior parte dall’Umbria, ma ce ne sono anche di toscani, marchigiani o romagnoli. Altra caratteristica del centro è il fuoco sempre acceso, come ci spiega Bigi: “Appena arrivato qui ti devi immergere nell’atmosfera di una volta e il fuoco è l’elemento base: la famiglia non era un nucleo se non c’era un fuoco”. In questo centro vengono spesso organizzate visite didattiche con ragazzi delle scuole di ogni età, ma il direttore ha le idee molto chiare: “Qui non si viene a vedere ma si viene a fare: non voglio che i ragazzi si portino da casa la merenda, la si fa qui: si impasta il pane e lo si mangia col pomodoro o con gli affettati. I ragazzi devono recuperare l’abitudine alla manualità, che purtroppo oggi si è persa. Recentemente abbiamo organizzato un laboratorio dei giochi di una volta, i maschi hanno costruito le fionde e le femmine le bambole con la segatura”. Nella restante parte del complesso, cioè la Villa, è ospitato un museo ferro-modellistico con degli splendidi esemplari realizzati dal marchese Cappelletti, ed un museo della bicicletta, legato a Gino Bartali come ci ha spiegato Bigi: “Gino nel 1943-44 ha vissuto in incognito in una casa sulla collina qui vicino, a Nuvole. Con la bici faceva finta di allenarsi ma in realtà andava ad Assisi, prendeva i lascia passare per le famiglie ebree, e li portava a Firenze al Cardinal Costa. Ha vissuto sei mesi con tutta la famiglia in incognito, poi nel dopo guerra è tornato ed ha fatto da padrino per la cresima della figlia del contadino che l’aveva ospitato. La sua ultima gara poi è stata Città di Castello”. Tra i prossimi progetti del centro c’è il ripristino degli essiccatoi del tabacco e la realizzazione di un pollaio e di un orto come una volta.