Il teatro come reale spazio aperto per il confronto. Giampiero Frondini ci regala il ricordo di una Perugia degli anni Sessanta quando la purezza del genio teatrale di un gruppo di artisti la rese capitale della “cultura a cielo aperto”.
di Francesca Cecchini
Tutto pronto per il Nuovo Teatro in piazza, rassegna di spettacoli che per cinque giorni, a partire da domani, 2 agosto, invaderà luoghi suggestivi del centro storico di Perugia nell’ambito del cartellone in programma per “Destate la Notte”, promosso dall’amministrazione comunale per allietare le calde serate estive dei cittadini con eventi artistici. Ma il teatro in piazza è una leggenda storica del capoluogo umbro che vide i suoi albori negli anni Sessanta e che rese, allora, Perugia indiscutibile capitale della cultura del teatro a livello nazionale. Ne abbiamo parlato con il Maestro Giampiero Frondini della Fontemeggiore (organizzatrice della manifestazione) che non è solo uno degli ideatori di questa nuova rassegna ma è stato uno dei principali testimoni e partecipanti del primo Teatro in piazza.
Quando e come ha origine il Teatro in piazza?
Nasce nel 1963 da un’idea di Giuseppe Agozzino che, per anni, nel momento storico in cui le aziende avevano grandi possibilità economiche, fu Presidente dell’Azienda del Turismo di Perugia. Insieme a lui, Vito Pandolfi, letterato, scrittore, autore e insegnante alla Scuola di Arte drammatica, e Vinci Grossi, Assessore alla cultura, progettarono il Teatro in piazza che fu poi realizzato l’anno successivo (1964). Agozzino, originario di Agrigento, era scenografo per vari gruppi teatrali siciliani. Quando arrivò il trasferimento nel capoluogo umbro per il nuovo lavoro si innamorò delle sue piazzette, dei suoi vicoli, dei suoi scorci e propose di creare dei lavori teatrali adattabili alla scena naturale già esistente: la splendida città di Perugia.
Lei come rientrava in questo progetto?
Io partecipai con il Piccolo Teatro della Fontemaggiore che era già teatro universitario dal 1963. Io e Sergio Ragni eravamo i due registi, i due animatori del gruppo. Con noi c’era la compagnia del Teatro in piazza di Perugia che era composta dai giovani attori dell’Accademia di Arte drammatica di Roma guidati dal Professore Guido Mazzella. In questa compagnia, dal 1964 al 1971, hanno debuttato molti di quelli che sono poi diventati grandi nomi del teatro italiano come Virgilio Gazzolo, Mariano Rigillo, Magda Mercatali, Antonio Salines, Paola Gassman, Luciano Virgilio, Gabriele Lavia e tanti altri.
In quali piazze venivano allestiti gli spettacoli e come rispondevano i cittadini?
Utilizzavamo piazze più o meno grandi a seconda della forza dello spettacolo. C’erano ad esempio la piazzetta Mattioli, in cima a Porta Sole, piazzale dell’Accademia, Piazza del Dado. Il momento storico era diverso dall’attuale, il centro storico era il fulcro della vita e il pubblico accorreva numeroso. Pensa che addirittura ognuno veniva ad assistere con la propria sedia. Le prime fila erano piene di bambini per terra e mi ricordo Agozzino che arrivava con i suoi dipendenti dell’azienda e portava con sé un sacchetto di caramelle per i bimbi per tenerli disciplinati e buoni mentre guardavano lo spettacolo. Il Teatro in piazza crebbe tanto da divenire addirittura una delle grandi manifestazioni dell’Umbria come il Festival di Spoleto
Come mai, secondo lei, il Teatro in piazza si è spento?
Sono cambiate le cose. La rassegna era quasi “un intervento puro” per ideatori e attori che si muovevano in blocco, compatti e con spontaneità. Poi, piano piano, con la fama incominciò anche a farsi sentire “l’appetito”. Tutti volevano fare teatro in piazza. All’interno del programma venivano organizzati altri spettacoli all’aperto, al Frontone, veniva montato un grande palcoscenico su cui salivano grandi compagnie. E questo è qualcosa che ha contaminato il reale spirito del teatro in piazza. Hanno iniziato poi a subentrare gruppi di teatro dialettale, il teatro in piazza si è allargato sempre più e ha perso la sua purezza. È stato inevitabile. Il passare del tempo ha provocato cambiamenti e lentamente ci siamo trovati, senza accorgercene, che il teatro in piazza non esisteva più.
Tutto finisce, dunque, così?
Negli anni Ottanta Fontemaggiore, con il benestare di Agozzino, ha ricominciato a fare qualcosa di simile durante il periodo natalizio concentrandosi sugli spazi aperti. Forse tu sei troppo giovane ma le persone più mature ricorderanno sicuramente dei grandi eventi alla Rocca Paolina nel periodo in cui arrivò la stagione delle scale mobili. Vennero messi in scena veri spettacoli tra cui Indiana Jones che portò gli spettatori ad attraversare, camminando, gli ambienti della rocca. Ad un certo punto il quartiere della Conca per tre, quattro anni diventò il “centro del teatro” per un mese. Tra tutti, uno spettacolo che rimase storico fu Crociera nei mari del Sud in cui ricostruimmo il transatlantico Colin Powell nelle cannoniere sopra la rocca. La sua punta, infatti, il bastione sembra proprio la prua di una nave. Mi ricordava molto E la nave va di Federico Fellini con le sue macchine e le caldaie disposte in spazi enormi.
Un altro spettacolo che ricorda con piacere?
Abbiamo allestito lungo la Conca l’originale Visita guidata al cantiere del porto ispirata da un nostro viaggio ad Amburgo, tappa di una tournée. Dopo uno spettacolo cominciammo dall’alto a calare verso la zona del porto e vedemmo che prendeva vita alle tre di notte con i marinai scesi dalle navi e continuava a ronzarci nelle orecchie quel rumore di sottofondo tipico delle aree portuali, le sue sirene… eppure noi non vedemmo una sola nave. Così ci venne l’idea di portare Amburgo a Perugia. Nella casa più alta lungo le scalette dell’Acquedotto creammo il faro e lì il pubblico poteva vedere tutto ciò che vedemmo noi: le case con le donne in vetrina, i quartieri dove bazzicava la malavita, l’atmosfera del porto. Dopo questa esperienza con la Fontemaggiore diventammo un gruppo che faceva grande animazioni in tutta Italia. Ne ricordo una in particolare, grande produzione, che prendeva piede sul treno Reggio Emilia-Canossa (A/R) durante cui – ci dice ridendo – tutta la compagnia venne addirittura arrestata dai carabinieri per quanto la recitazione fu convincente. Dei ferrovieri li avvertirono che sul treno c’erano delle persone armate.
Possiamo perciò affermare che il gruppo Fontemaggiore è stato precursore del teatro itinerante che, in questo periodo, sembra tanto andare di moda?
Penso proprio di si. Come l’abbiamo fatto noi, però, in pochi riescono a farlo. Il nostro era un teatro con pochi fondi, era sempre un’avventura e questo ci distingueva dalle altre realtà.
Quest’anno torna il Teatro in piazza. Un punto di partenza o di arrivo?
Dopo vari tentativi per riportarlo in auge che fallirono perché probabilmente non c’erano le circostanze e, soprattutto, lo spirito adatto, abbiamo iniziato lo scorso anno con un piccolo intervento di “riconquista degli spazi”. Abbiamo allestito degli spettacoli al Chiostro di San Lorenzo e al Giardino dell’Usignolo per mostrare agli spettatori cosa fosse realmente il teatro all’aperto. Quest’anno c’è una rassegna ed è sicuramente un punto di partenza. La speranza e l’auspicio è di crescere di anno in anno per riportare in vita quel progetto importante di teatro in piazza che rendeva Perugia tanto nota negli anni Sessanta.
Qual è lo spirito del teatro in piazza?
Faccio sempre questo esempio. Tanti anni fa, mentre guidavo, davanti a me un’automobile investì un bambino. Io mi sono fermato ed ho assistito a tutta la scena. Ero uno dei “protagonisti” perché vivevo le emozioni insieme agli “attori” mentre le azioni si svolgevano. Io ero lì, partecipe, ma nessuno ha mai saputo che ci fossi in quel momento. Questo è lo spirito del teatro in piazza. Il pubblico non è più in platea ma è in mezzo all’evento, ne è partecipe.
Cosa rappresenta la “piazza”?
La piazza ti trasmette il passato e ti dà, al contempo, delle indicazioni per il presente e per il futuro.
Maestro avremo la possibilità di rivederla in scena prossimamente?
In realtà non so. Non sono più un ragazzino – sorride – ma se rifarò teatro dovrà essere qualcosa che “mi appartiene” cioè userò il teatro per affrontare i problemi della vita, possibilmente vicini alla mia età.
Come ne L’esame di Matheson?
Esatto, quello era infatti uno spettacolo che parlava di morte e io l’ho fatto tenendo conto di alcuni aspetti della mia vita. La più grande sorpresa e soddisfazione è stato scoprire l’enorme successo che ha riscontrato tra il pubblico dei giovani.
Per il programma dettagliato consultare il sito ufficiale di Fontemaggiore Centro di Prroduzione Teatrale.