Il 2 maggio dell’anno 2000 il governo degli Stati Uniti d’America ha ufficialmente disabilitato la funzione “disponibilità selettiva” che portava i dispositivi GPS a rilevare la posizione a terra con un margine d’errore considerevole. Questa decisione, presa per migliorare le performance dei GPS e favorirne lo sviluppo sia tecnologico sia commerciale, ha avuto diverse conseguenze, tra le quali la nascita di un gioco di “caccia al tesoro” planetario: il geocaching

di Marco Morello

Il 3 maggio, infatti, i siti web e i forum di discussione dedicati al tema della geolocalizzazione e dei GPS erano in fermento. La precisione dei dispositivi GPS era decuplicata nel giro di una notte. Un appassionato dell’argomento, Dave Ulmer, decise di testare la nuova precisione dei GPS nascondendo in un bosco vicino a casa sua un contenitore pieno di oggetti e indicando sul web le coordinate per raggiungerlo. Le regole di questa prima caccia al tesoro erano semplici: “prendi qualcosa e lascia qualcosa”. Dopo aver trovato il nascondiglio si chiedeva di condividere online il ritrovamento. Tre giorni dopo due lettori trovarono l’annuncio, raggiunsero il luogo con il loro GPS e segnalarono sul web la loro scoperta. La settimana successiva la febbre del geocaching cominciò a contagiare decine di persone che iniziarono a creare i loro nascondigli e a condividerne le coordinate sul web. Alla fine del maggio 2000 uno di questi appassionati giocatori, Matt Stum, diede a questo gioco il nome “geocaching”, unendo il termine geo (che evoca la Terra, ovvero un’attività di interesse planetario) al termine cache (che ha sia il significato di “nascondiglio” sia quello più tecnologico di “spazio di salvataggio in cui un’informazione viene conservata per un rapido accesso”).

Oggi ci sono nel mondo più di due milioni di nascondigli (cache) e oltre sei milioni di persone che amano definirsi “geocacher”. Nei nascondigli, a seconda della dimensione del contenitore utilizzato come nascondiglio, si trovano messaggi, video, cd, giocattolini, portachiavi, oggetti promozionali, souvenir… Piccoli tesori da scoprire in luoghi che ricoprono un significato speciale per chi ha nascosto il proprio tesoro.

Il geocaching in Umbria

L’Umbria, come ci ricorda la nostra insostituibile guida Fabrizio “Bibo” Baldoni, è per sua stessa natura uno scrigno di tesori nascosti. Alcune località di grande interesse artistico, culturale o naturalistico non si possono raggiungere comodamente su strade asfaltate: in molti casi bisogna guadagnarsele con percorsi accidentati da affrontare con un fuoristrada o seguendo a piedi sentieri non sempre facili. Non ci stupisce, quindi, che oltre ai tesori già naturalmente mimetizzati nel fitto dei boschi o in anfratti scoscesi, si possano trovare decine di nascondigli perfetti per il gioco del geocaching. Sul sito geocaching.com, tra scherzi urbani (uno è in Corso Vannucci in una storica farmacia del centro!) e punti di interesse culturale o naturalistico, si trovano decine di spunti interessanti o divertenti per le proprie esplorazioni. Uno di questi “geocache” è situato a breve distanza da Perugia, nel fitto di un bosco, sul tetto di una tomba etrusca.

La Tomba del Faggeto

Dalla frazione perugina di San Giovanni del Pantano, un piccolo agglomerato di case ai limiti del comprensorio del Monte Tezio, si parte per raggiungere la Tomba del Faggeto, una sepoltura etrusca risalente al II secolo avanti Cristo, nel cuore di un bosco di faggi. Raggiungerla non è difficile, perché la segnaletica comunale consente di individuarla senza grandi difficoltà. Lungo la Strada dei Calderoni che gira intorno Colle Masso, detto anche “la Vedetta”, si avrà innanzitutto la possibilità di godere di uno splendido panorama sul monte Tezio e sulla valle del torrente Caina. Si procede sulla strada sterrata fino a un bivio dove è chiaramente indicato con un cartello giallo “Tomba del Faggeto” e anche il sentiero M24. Un doppio divieto di accesso ci dice che sta per iniziare una proprietà privata. Poco oltre potremo lasciare l’auto per intraprendere a piedi la salita lungo una mulattiera. Un breve tragitto ci porta nel cuore del bosco sul fianco orientale della Cresta della Fornace. Il percorso, tutto in salita, non è molto lungo. Si passa sotto un paio di torri di avvistamento metalliche costruite dai cacciatori, si intravede nella boscaglia un rifugio di caccia detto “Rifugio del Conte” e salendo ancora lungo il sentiero, con una breve deviazione a sinistra si raggiunge una piccola recinzione dove è situata la tomba etrusca di “Arnth Cairnina”.

La costruzione funeraria fu scoperta alla fine del 1919 dai boscaioli del luogo e da allora è stata riportata alla luce nella sua interezza. Il corridoio di accesso, interrato alla data della scoperta, fu reso accessibile solo in seguito, così come visitabile è anche l’interno della piccola costruzione. Costituita da grandi blocchi di pietra arenaria coperti da una volta a botte a tutto sesto, la tomba ha una straordinaria peculiarità nella sua porta di ingresso. E’ infatti l’unica tomba a camera rinvenuta nella zona ad avere un battente di chiusura. L’architrave che costituisce la parte superiore del vano della porta è tagliato con una forma che ricorda un rudimentale timpano. Incastonato con cardini a cuneo in questa struttura di ingresso, il battente lapideo si apre e si chiude con estrema facilità ancor oggi, a oltre duemila anni di distanza dalla sua costruzione.

La tomba è accessibile solo dal lato frontale d’ingresso ed è interrata da tutti gli altri lati. Costeggiando l’esterno del corridoio di ingresso si può salire sul terrapieno che ricopre il tetto della tomba. Ai piedi di un albero, nascosto sotto alcune pietre, è possibile trovare il geocache della tomba di Arnth Cairnina. Un tesoro nel tesoro, per aggiungere a questa scoperta già di per sé emozionante una motivazione in più in grado di trascinare in questa escursione anche piccoli esploratori, stimolati più dalla scoperta di un’automobilina in un barattolo che non dal fascino di una tomba millenaria.

Dopo avermi lasciato visitare la tomba, Bibo è sparito tra gli alberi. Salendo sulla costa boscosa per cercarlo mi sono ritrovato sull’altopiano che chiude la salita del colle. Un tramonto mozzafiato tra le creste delle colline circostanti e la vetta del monte Acuto mi ha ancora una volta ricordato di quanto sia preziosa e incontaminata questa regione anche grazie alla difficoltà che spesso si sperimenta per scoprirne le bellezze. Tesori da conquistare in una caccia a volte impegnativa in grado di restituire profonde e durature emozioni.

Geocaching sul web

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