di Marco Morello

Nelle campagne intorno a Gubbio, tra le querce, le coste d’argilla e le acque del torrente Mussino, una grotta e una piccola chiesa raccontano la storia di sacrificio e devozione di un’eremita

Una giornata di pioggia non è una giornata persa, quando si è con Bibo. Più che una guida, più che un profondo conoscitore di nascosti o dimenticati anfratti dell’Umbria, Bibo è un’amante della Natura. Lui ci tiene a ricordare che la Natura è bella sempre: nel pieno del sole come sotto la pioggia. Basta attrezzarsi come si deve, coprire il corpo con l’abbigliamento giusto e riparare l’attrezzatura fotografica (per chi fotografa) con la protezione corretta e non c’è pioggia che tenga: ogni giorno è buono per scoprire posti straordinari. “Se aspetti la giornata perfetta, il clima ideale, l’inclinazione del sole giusta per fare le foto migliori, non vedrai mai nulla,” mi dice sorridendo serio mentre scruto il cielo sempre più scuro e conto le gocce in aumento sul parabrezza.
Siamo diretti alla Chiesa di Santa Cecilia di Montelovesco, nel folto della campagna tra Gubbio e Umbertide. Ci sono molti motivi per visitarla, perché la piccola chiesa si trova in un posto che mette d’accordo diverse esigenze. Chi cerca un luogo religioso isolato per ragioni spirituali, chi scava nella storia, chi vuole addentrarsi nella natura incontaminata e camminare sulle marne d’argilla, chi è alla ricerca di sorprese botaniche, chi ama misurarsi con i corsi d’acqua, chi vuole fermarsi in un luogo attrezzato per un pic nic… Chi vuole fare un’escursione alla portata di tutti ma di grande soddisfazione anche per i più esigenti, qui trova un Camporeggiano, e il suo fervore religioso la portò a un periodo di duro ritiro spirituale solitario nel bosco dove oggi sorge la chiesa a lei dedicata. Viveva in completo isolamento in una grotta ancora esistente e visitabile, un taglio naturale nella roccia che la proteggeva dalle intemperie. In quel tempo il luogo era una selva intricata di rovi e querce, per nulla facile da raggiungere e da frequentare.
Morì intorno al 1235 e solo dopo la sua morte la chiesa venne costruita sopra la grotta in cui aveva trascorso i suoi anni da eremita. Poco più in basso le acque di una sorgente e il torrente Mussino fanno da corollario al culto della santa. La strada per raggiungere agevolmente questo luogo è stata costruita solo di recente, dal 1967, rendendo ancora più straordinario il persistere di un culto che, per essere praticato, ha sempre richiesto ai devoti un grande impegno.

IL CULTO

Cecilia viene invocata soprattutto per la protezione dei bambini, specialmente neonati o nascituri. Si narra che la santa fosse in grado di guarirli dalle malattie, soprattutto da disturbi come la poliomelite o le convulsioni infantili cosiddette “infantigliole”. Praticava le guarigioni con l’aiuto delle acque che sgorgano a ridosso del torrente Mussino e si raccolgono nelle piccole tazze scavate nella roccia, si dice, con le sue stesse mani. Oppure li curava bagnando i bambini in una vasca naturale scavata sotto una cascata poco distante.
Il motivo di un così diffuso e riconosciuto culto viene alimentato dalle guarigioni miracolose avvenute anche dopo la morte della santa. Nei secoli successivi i bambini venivano portati alla chiesa costruita pochi anni dopo la morte di Cecilia e venivano messi a riposare in una buca dove sembra che inizialmente fossero state riposte le spoglie della santa, poi trasferite altrove. Il culto proseguì per secoli seguendo questa pratica, infilando i bimbi nella piccola buca che, dopo il rito, veniva ricoperta con delle assi di legno. Nel 1636 una visita pastorale del Vescovo di Gubbio annotava che nei pressi dell’altare esisteva questa buca. Il contadino che accompagnava il vescovo nella visita spiegò l’utilizzo che se ne faceva e raccontò che, dopo la pratica, i genitori o i parenti lasciavano sempre un ricordo del bambino o della famiglia e un obolo “secondo la possibilità e la devozione”. La pratica venne ritenuta quasi pagana e la buca fu chiusa con dei mattoni lasciati comunque distinguibili nella pavimentazione, come testimonianza del passato e rispetto per l’origine del culto che, nei secoli, si è comunque conservato anche grazie a questa sua origine di dubbia cristianità.
Ancora oggi la chiesa conserva attualissimi ex-voto, costituiti da fotografie dei bambini guariti per intercessione della santa, bavaglioli, piccoli ricordi atti a testimoniare l’affetto e la devozione di una famiglia grata per l’aiuto della santa.
Nel medioevo la santa veniva ricordata e festeggiata l’11 aprile, giorno della sua morte. Ma nei secoli successivi la processione fu spostata nei giorni di Pentecoste, specialmente il lunedì e il martedì, per ricordare quando il corpo della santa fu spostato dalla chiesa al monastero del Paradiso. In quei giorni la chiesa si popola di famiglie con bambini e viene data una benedizione ai piccoli oggetti devozionali delle famiglie (catenine, anelli, medagliette, fedi, orologi) e all’olio che i fedeli si portano da casa.