L’Italia vanta un patrimonio artistico e culturale senza eguali. Così le regioni che ne fanno parte; ad esempio la Campania, con tanti luoghi meravigliosi che, purtroppo, oggi versano nel più completo abbandono. Uno di questi posti è sicuramente il monastero di Sant’Anna de Aquis Vivis, oggi conosciuto come S.Anna a Monte, edificato sul monte ai cui piedi si estende la città di Mondragone, in provincia di Caserta. Su questo colle, intorno al 1300, si erano stabiliti degli eremiti che avevano edificato alcune celle per il loro uso personale ed una piccola chiesa dedicata a S.Anna. Lì vivevano in povertà, elemosinando in paese ciò di cui avevano bisogno per le loro necessità giornaliere. Padrona di quelle terre era la regina Sancia, moglie di re Roberto d’Angiò, che le aveva avute in dono dal marito nel 1308 con la promessa di non concederle mai in feudo.
di Teresa Lanna
Conoscendo la grande religiosità e generosità della regina Sancia, il capo di questa piccola comunità eremitica, Benvenuto da Sarzana, nel 1325, le si rivolse per avere un po’ di terreno da coltivare per i bisogni della comunità. La regina, dopo essersi accertata delle condizioni di effettiva povertà degli eremiti, concesse loro dodici moggia di terreno sterile ed incolto. Lo scrive Erasmo Gattola nella sua Historia Abbatiae Cassinensis: “Sulla cima di un amenissimo monte, in un luogo prossimo alla Rocca di Mondragone, chiamato S.Anna dalle acque vive, per le acque che vi sgorgano perenni, per concessione della regina Sancia l’eremita sarzanese aveva costruito una chiesa dedicata a S.Anna e alcune celle per i confratelli”.
La donazione di Sancia permise agli eremiti di ingrandire il loro eremo e di coltivare quanto necessitavano per vivere, senza aver bisogno di andare elemosinando ogni giorno. Diciassette anni dopo, alla morte di Benvenuto da Sarzana, a Sant’Anna rimasero numerosi eremiti che avvertivano il bisogno di darsi una regola e di costruire altre strutture per accogliere tutti coloro che venivano a condividere la loro esperienza eremitica. Il loro possibile superiore, fra’ Giovanni da Trupparellis di Sessa, donò il monastero al Sacro Speco di Subiacoe gli eremiti si posero sotto la Regola benedettina.
Il nuovo monastero cominciò, così, a beneficiare di molte donazioni che ci permettono di seguirne la crescita. Queste venivano fatte soprattutto da privati cittadini che lasciavano offerte o proprietà immobiliari in cambio di messe per i loro defunti o per la salvezza della loro anima. Ma anche i reali angioini ebbero a cuore le sorti del monastero mondragonese, erogando al luogo, annualmente, diverse once d’oro. Come la regina Giovanna I, ma anche il suo successore, re Carlo III d’Angiò-Durazzo, e Giovanna IInel 1415.
Nel 1386 la reginaMargherita di Durazzo, moglie di Carlo III d’Angiò, concesse ai monaci di S. Anna de Aquis Vivis la costruzione di un mulino per loro uso e per la gente del luogo che però ne doveva pagare l’uso, dando, così, ai monaci, la possibilità di avere delle entrate.
I monaci di S.Anna rimasero sotto la giurisdizione del monastero benedettino di Subiaco fino al 1467, anno in cui il cardinale Giovanni de Torquemada, commendatario del monastero, nella sua azione di riorganizzazione, staccò S.Anna da Subiaco e l’affidò a Montecassino.
Da quel momento, per il monastero di S.Anna cominciò un lento declino. Tra abbandoni e ritorni, restauri e ristrutturazioni, si arrivò fino ai primi anni del 1700, quando gli abatiGregorio Galisio(1704-1717) e Nicola da Salerno (1717-1722) fecero un ulteriore tentativo per salvare il monastero dall’abbandono, arricchendolo di nuove decorazioni, ma ormai l’interesse dei fedeli era rivolto altrove, soprattutto alle chiese della pianura più vicine e comode da raggiungere.
Secondo quanto riferisce Luca Menna nel suo libro Saggio Istorico della Città di Carinola, pubblicato nel 1848, l’intera collina fu comprata dal ricco signorotto don Alfonso Gambati, il quale fece edificare nuove strutture e piantare vigneti.
Il monastero di S.Anna è rimasto in mano ai privati fino agli anni ’80 del secolo scorso; fu poi donato alla Diocesi di Sessa Aurunca, che ne ha curato il restauro.
Allo stato attuale, rimane molto poco dell’antico splendore ed è un vero peccato come opere di tale valore possano assistere al proprio degrado e agli sguardi stupefatti delle persone del luogo, ma anche dei tanti turisti che decidono di farvi visita, malgrado sassi e sterpaglie non facilitino l’accesso ad un luogo che si spera possa presto ritrovare la bellezza d’un tempo.
Foto di Marinella Pompeo