Una lunga fila di ripide scale conduce al piano di lavoro dell’antica tipografia Grifani-Donati a Città di Castello. Situata nell’unico palazzo in stile liberty della città, anticamente usato come deposito del sale e nel Settecento anche come convento, dal 1799 è l’unica tipografia al mondo ad essere gestita da un tipografo di famiglia. Per questo viene considerata attività di pregio storico, sottoposto a tutela dalla Sovrintendenza ai Beni Architettonici e Culturali dell’Umbria
di Pierpaolo Vicarelli
La sua storia ha avuto origine in una remota estate di trecento anni fa, allorquando Francesco Donati e Bartolomeo Carlucci, lasciarono Assisi per andare ad avviare una propria bottega di stampa a Città di Castello. Da allora ben sette generazioni si sono succedute alla conduzione dell’antica tipografia tifernate, che ancora oggi conserva i macchinari ed i metodi di lavoro dei propri avi. Ad accoglierci è il pronipote Gianni Ottaviani, un artefice dei caratteri. Il suo dialetto intercalato ci appare subito familiare. Quasi per mano ci introduce all’arte del tipografo; un mestiere che sembra aver respirato fin da bambino. La sua cultura in materia è immensa, un vero discendente di Gutenberg, capace di destreggiarsi fra “tipi” di stampa e di caratteri, prismi metallici, lettere e matrici rovesciate, formelle di pietra in carbonato di calcio per litografie, presse piane e torchi tipografici. Un vero maestro d’arte che contrasta con le metodiche frenetiche delle rotative moderne, senza disconoscerne le opportunità tecnologiche. Ottaviani naviga a vista nel “mare magum” dell’arte tipografica; lo seguiamo come fosse un mago. Sciarpa instabile intorno al collo, occhialini calati sul naso e “manicotti” rigati d’inchiostro, si aggira fra cassetti ottocenteschi ricolmi di dime, spessori, modelli e clichè. “Conservo 459 scatole di caratteri, esordisce, con questi stessi caratteri compongo “righe”che unite formano una “matrice” corrispondente ad una pagina di testo, una volta inchiostrate vengono impresse sulla carta sotto la pressione del torchio; lo stesso che usava mio bisnonno, un “Delia dell’Orto” del 1864”. Il pavimento irregolare del grande ambiente tipografico è un mosaico di colori lisi dal tempo, lampade con paraluce a piattello pendono dalle travature deformate dell’alto soffitto, grandi finestre catturano la luce gelida di questo pomeriggio di gennaio. Nella parete che precede il piccolo studiolo dei registri, le foto dei fondatori: Il bisnonno Ernesto e il nonno Giuseppe. L’odore della carta e dell’inchiostro si innesca a quello del legno, del talco e della lavanda. Siamo così rapiti da non accorgerci che al nostro seguito si è aggiunto un nuovo personaggio, appena il tempo di presentarci, è Roberto Lensi. Aspetto un po’ misterioso, tratti di barba sapienti, profondo conoscitore delle arti grafiche, anche i suoi avi hanno lavorato in questa tipografia; segue in silenzio tutti i nostri spostamenti, mentre Ottaviani continua a raccontare orgoglioso:“Qui, il 6 maggio del 1799 è stato stampato il libro in 484 pagine, narrante la Insurrezione dell’inclita e valorosa città di Arezzo, contro la forza delle armi e delle frodi dell’anarchia francese”. Con la qualifica di “stampatori della Deputazione cittadina”, a Donati e Carlucci, furono commissionate stampe di tributi religiosi, proclami pubblici per la Cesarea Reggenza della città da parte delle truppe austro-aretine, opuscoli di istruzione pastorale, laudi spirituali e il Discorso paranetico all’Italia di Severino Pezzotti.
I lavori Tasselli cubici in legno di ciliegio con incisi gli stemmi gentilizi, rievocano documenti a stampa delle casate all’epoca delle signorie e quelli ecclesiastici dell’Italia preunitaria. In una cassettiera piana compaiono stampi in legno di varie misure raffiguranti i simboli di tutti i partiti politici italiani della prima repubblica. Poi Ottaviani si eclissa sul frontespizio del volume edito per il sinodo diocesano del 1818, con l’annuncio di Papa Pio Septimo e Franciscus Antonius Mondelli, episcopus tifernas. In un fregio datato 1824 si legge: “In Città di Castello, per Francesco Donati stampatore vescovile”. Voce di amor vi risuona in petto…è l’introduzione di un sonetto beneaugurante stampato dai Donati nel 1857, in occasione del matrimonio di Silvio Palazzeschi con la donzella Anna Manciati. Di natura decisamente più mistica è il sonetto stampato nel 1847, dove viene solennizzato l’atto di vestizione della nobil donzella Chiara Pierleoni, all’atto di entrare nel Monastero delle Murate a Città di Castello. Ancora più vivace invece, la locandina stampata nel settembre 1816, per il teatro degli illustrissimi signori illuminati della città tifernate, invitati a partecipare allo spettacolo con tombola di beneficenza della “prima donna” Anna Muratori. Nel 1876, va in stampa “Patatrac”, il primo periodico proletario della tipografia Biagio Donati. Nel sottotitolo si legge: “Monitore dei perduti della valle tiberina”. Esce due volte al mese e costa 10 centesimi. Nel 1866 seguì il giornale politico amministrativo, “La Scintilla” ed il primo orario ferroviario della linea Arezzo-Città di Castello-Fossato. Fra i documenti di stampa della tipografia Grifani-Donati non potevano mancare manifesti come quello della Società patriottica degli operai e due numeri unici di Tifernosport e il Balilla tifernate del 1929, nonché il periodico “Fiamma et Ala”, del 1931, a cura degli alunni del premiato Collegio Convitto Serafini. Uscendo dalla tipografia volgiamo lo sguardo verso quel luogo della memoria, sapientemente consumato dal lavoro di tre generazioni di tipografi. Ottaviani ci saluta e si rimette all’opera fra l’odore dell’inchiostro, della carta e della lavanda. La cinta di trasmissione dell’antico torchio riprende a vibrare. Trecento anni di storia che non andranno perduti.