di Ramona Premoto
La storia del maestro Mattia Lorenzi e della sua classe ‘speciale’: “Rallentare la progressione della malattia si può”
Il Tai Chi Chuan dietro prescrizione medica per arrestare la marcia del morbo di Parkinson in Umbria. No, non abbiamo sbagliato a scrivere. Si tratta proprio dell’antica arte marziale cinese che oggi, sotto il nome di ‘terapia non convenzionale’, si sta facendo velocemente spazio come preziosa alleata di pazienti e medici, affiancandosi così all’azione dei trattamenti in clinica. L’input parte dagli Stati Uniti dove, secondo uno studio condotto dall’Oregon Research Institute di Eugene, i movimenti lenti e controllati di questa disciplina sembrerebbero far bene alla stabilità
e all’equilibrio dei pazienti affetti dal morbo e i miglioramenti durerebbero addirittura per tre mesi dopo l’attività. Chiamatelo caso, oppure destino, ma questo studio finisce nel 2012 sotto gli occhi di Mattia Lorenzi, maestro di Tai Chi. Classe 1986, Mattia trascorre gran parte della sua giornata lavorativa nella palestra perugina ‘Italy C.K.A.’ dove c’è Sara che con grande sacrificio porta avanti gli insegnamenti del suo papà scomparso di recente, il grande maestro Giuliano Fulvi. Insomma, letto l’articolo, Lorenzi decide di dedicare la sua tesi di laurea all’argomento. “Pratico Tai Chi da oltre dieci anni – spiega il maestro – e leggere che la mia disciplina poteva essere l’unica forma di movimento capace di migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti dal Parkinson mi ha letteralmente entusiasmato”. Mattia non perde tempo. Contatta l’“Unione Parkinsoniani Perugia” diretta dalla dott.ssa Lucia De Stuers e lavora in fretta alla sua tesi sotto la supervisione della dott. ssa Paola Sarchielli e del dottor Nicola Tambasco. Poi, sistemata la teoria, passa alla pratica. E così parte il primo test: il maestro Lorenzi comincia a insegnare Tai Chi a 30 persone affette dalla patologia e inizia a constatare con i suoi occhi ciò che aveva letto di sfuggita su quell’articolo di giornale. “Ricordo ancora il primo esperimento, ero dubbioso, ma è andato tutto benissimo – racconta -. Lavorando a stretto contatto con i pazienti ho potuto toccare con mano ogni loro minimo cambiamento. Ovvio parliamo di piccoli miglioramenti, non di guarigione. Le persone affette dal Parkinson sono preda di movimenti incondizionati degli arti, hanno una postura fortemente sbilanciata in avanti e camminando molto spesso possono subire dei blocchi motori chiamati ‘freezing’. I movimenti lenti del Tai Chi sono molto congeniali allo sblocco di questo ‘congelamento’. Ne giova soprattutto l’allungamento, poi subentra un migliore equilibrio con risultati finali incredibili e una riduzione del rischio ricaduta straordinario. Certo, i miglioramenti cambiano in base al livello di malattia che attraversa in tutto cinque fasi. C’è chi riesce a stare per tutta la lezione in piedi, chi invece si siede quando all’improvviso subentra la stanchezza”. Ma il maestro riesce a far lavorare gli allievi anche da seduti concentrandosi solo sul movimento di braccia e gambe.
Con i movimenti lenti del Tai Chi subentra un migliore equilibrio con risultati finali incredibili e una riduzione del rischio ricaduta straordinario
Oggi sono passati due anni, Mattia si è laureato. La sua classe conta ben 50 allievi che incontra ogni lunedì mattina. A chi gli chiede se davvero il Tai Chi può fare qualcosa contro il Parkinson lui oggi sa benissimo di poter rispondere con sicurezza che: “migliora l’equilibrio, riduce il rischio di cadute e rallenta la progressione della malattia. Sviluppa una maggiore capacità di gestire l’equilibrio in molteplici posizioni e la pratica costante porta ad un uso maggiore della elasticità delle strutture periferiche che coinvolgono muscoli, tendini e legamenti. Inoltre i movimenti del Tai Chi ruotano il corpo in circa il 95% dei modi possibili quando si pratica la ‘forma lunga’. Questo è molto più di quello che offrono le altre forme di esercizi per i malati di Parkinson, e ciò indica che utilizzando più volte alla settimana questo 95%, la possibilità di ‘perdere’ la capacità di continuare a farlo diminuisce di conseguenza”. Ma c’è molto di più della tecnica e del progresso fisico. A mano a mano che la classe di lavoro procede con la pratica subentra anche un valore fondamentale: la socializzazione. “L’ambiente in palestra è rilassato e amico – continua Mattia Lorenzi – gli allievi si aprono e parlano davvero di tutto, dai problemi che devono affrontare nel corso della giornata ai medicinali da prendere. Vedo che le persone riescono a uscire dal guscio di solitudine che si sono costruiti intorno e a esternare sentimenti, rabbia, emozioni. C’è chi al secondo anno di malattia ne ha già rallentato il decorso e si sente felice e chi invece al quinto riesce a fare cose davvero difficili ed è soddisfattissimo di sè”. Il 29 novembre 2014 in tutta Italia si terrà la Giornata Nazionale del Parkinson. Il territorio nazionale ospiterà varie iniziative e seminari di informazione, e anche Lorenzi con la sua classe ‘speciale’ terrà proprio in quei giorni un incontro di informazione per far conoscere all’Umbria che lotta contro il Parkinson un alleato molto speciale: il Tai Chi. Ma in tutta questa questa storia, che parte dagli Stati Uniti e finisce nella ‘Italy C.K.A.’ di Perugia, ecco che grazie ai suoi allievi anche un giovane maestro di Tai Chi ha ricevuto il suo insegnamento di vita. Mattia oggi sa che la vera scommessa non è fare cose sempre nuove, ma essere nuovi dentro, ogni giorno, nelle cose che facciamo: “Non trovo le parole per spiegare cosa significhi per me questo progetto. Ho dedicato oltre 10 anni allo studio delle arti marziali e questa classe di allievi per me brilla più di qualsiasi medaglia conquistata. Quando entro in sala e faccio lezione sento di dover dare il massimo per il loro benessere. Li vedo felici e non sto nella pelle. In fondo è una terapia anche per me. Mi sto allenando alla cura, alla sensibilità, alla pazienza. Fa bene a loro e fa bene a me”.