Cosa si prova ad immergersi in una fitta selva abitata da gigantesche statue scolpite nel piperino? Le rocce tipiche del viterbese furono usate dal genio di Pirro Ligorio per dar vita a qualcosa di straordinario. Architetto e antiquario, il Ligorio progettò nel 1547 un parco in provincia di Viterbo, denominato poco più avanti Parco dei Mostri o Sacro Bosco o, ancora, Villa delle Meraviglie di Bomarzo.
di Elisabetta De Falco
Chi fu ad intagliare con accurata precisione il piperino per ridare vita a figure mitologiche, mostri e antiche divinità, è ancora sconosciuto. Michelangelo Buonarroti? Jacopo Barozzi da Vignola? Il più accreditato, piuttosto, sembra essere Simone Moschino. Tale capolavoro, definito come “un’invenzione storica unica” da Salvador Dalì, venne dedicato a Giulia Farnese dal povero – si fa per dire – Principe Pier Francesco Orsini, distrutto per la morte della sua amata. Per molto tempo, però, il luogo rimase celato e bisognò attendere il XX secolo affinché la famiglia Bettini, che si fece carico delle spese di ristrutturazione, lo riportasse alla luce del sole.
Quando si mette piede nel parco si viene catapultati in una realtà senza tempo, catturati dal gioco di proporzioni e prospettive studiate nei minimi dettagli. Le figure mitologiche scolpite nella roccia sono capaci di esprimere l’imponenza della staticità e allo stesso tempo il dinamismo della vita. Il contrasto tra il bene e il male anima l’intero Bosco: dalla rappresentazione di Ercole che uccide Caco alle due mitiche figure mezze donne e mezze serpente, Echidna e Furia, separate da due Leoni. Esperienza divertente quanto suggestiva è la capatina nella Casa Pendente, una struttura costruita sopra un masso inclinato che mette a dura prova il senso di equilibrio dei visitatori. Tra le figure più suggestive si fa spazio il celebre Orco, il simbolo del parco che ospita nelle sue fauci i curiosi che vi sostano giusto il tempo di scattare una foto ricordo. Quale fu il vero scopo di Pirro Ligorio non è mai stato scoperto. Il mistero, del resto, è ciò che rende il Sacro Bosco decisamente affascinante. Sappiamo, però, che spesso l’artista crea qualcosa per compiacere se stesso e gli altri. Si potrebbe infine pensare ad una parola emblematica: alchimia. Un modo per ritardare l’ombra della morte attraverso la celebrazione della vita. Un cerchio che in questo giardino si apre senza chiudersi mai.