La “Casina delle Fate” a Roma, edificio in stile Ottocentesco nato dalle splendide menti di Luigi Coppedè detto “Gino”, rischia di diventare polvere nel vento che imperversa sulla Capitale

di Daniele Pandolfi

In Italia resiste questa brutta abitudine di giudicare il vecchio come obsoleto, l’antico come morto e il nuovo invece come un’entità che sovrasta ciò che vi era un tempo. Cosa ancor più grave quando si rischia altresì di deturpare con palazzine superlussuose in stile contemporaneo quello che i nostri antenati hanno custodito gelosamente per secoli o millenni. Distruggere in onore di questa ambigua parola: innovazione. In questo caso, non si tratta di storia antica ma di un villino relativamente recente e assai prezioso per il popolo di Roma. La vera Roma, non quella attuale, non più la città eterna. Si tratta della “Casina delle Fate”, edificio in stile Ottocentesco nato dalle splendide menti di Luigi Coppedè detto “Gino”, che rischia di diventare polvere nel vento che imperversa sulla Capitale. C’è chi crea, chi sa creare e chi, ahimé, distrugge. Ma perché abbiamo bisogno di creare? Forse per lo stesso motivo per il quale in tanti decidiamo, ad un certo punto della nostra vita, di mettere al mondo dei figli. Tramandare di generazione in generazione il nostro sapere e lasciare una nota indelebile in questo spartito manovrato da élite.

La Casina, cosi erroneamente soprannominata, consta di tre fabbricati incastonati tra loro con tre ingressi differenti. Un complesso anche molto attuale come le nostre villette a schiera. In stile Liberty e neoclassico la vediamo immersa in un oscuro palcoscenico barocco partorito dalle folli abilità di un maestro. Non uno qualunque, forse un Gran Maestro? Coppedè conosceva più della semplice architettura. Dietro uno dei tre ingressi, con precisione quello di Piazza Mincio 3, avvampa gli occhi il magnifico mosaico rotondo che regala il nome allo stabile. Qui rappresentate tre fanciulle suonatrici in abiti romani antichi, Neme, Melete e Aede, come metafore dell’essenza di questo luogo. Come era solito al tempo le mura degli edifici che celavano sacralità e misticismo venivano decorate con scritte ad opera dell’architetto in questione. La più significativa nel mondo delle fate di Coppedè è “Domus Pacis”. Senza bisogno di tradurlo… quella stessa pace che la bramosia e l’avidità delle logge sta seriamente minando. Roma sta morendo e ci ricorda: la chiave per il nostro futuro risiede nel passato. Non siamo nulla, e ancora meno saremo, se dimentichiamo chi eravamo.