di Francesca Cecchini

Una composizione in più lingue ad unire pensieri ed espressioni internazionali con l’obiettivo di valorizzare l’arte a largo spettro

Poesia, canzone, una singola parola, qualunque tipo di espressione artistica è ben accetta per aderire a The End Volume Zero, il progetto ideato e promosso da 2ue, composto da Daniele Aureli e Francesco Capocci, e Occhisulmondo per raccogliere un piccolo mondo (apart) che rimanga chiuso (ma al contempo aperto al pubblico) in un testo all’apparenza sacro, rilegato in tela nera con incisioni dorate, realizzato con tecnica mista (scritti digitali e a mano libera) e rivisitato all’interno come un diario scolastico. Circa mille le pagine stimate per la composizione in più lingue che verrà stampata in un’unica copia il prossimo gennaio 2016. Nata in un garage umbro, l’idea ha già raccolto consensi e partecipazione da parte di artisti italiani, polacchi, lituani, cinesi e turchi: un’espressione internazionale, dunque, che gli “operatori culturali” a trecentosessanta gradi andranno a toccare con il proprio estro. La condivisione è iniziata lo scorso mese di ottobre ed è già stata ben accolta e presentata in Polonia durante il progetto Europeo “My roots of Europe”. Queste sono le radici di un “albero di vita” che cerca di crescere estendendo i suoi rami nel modo più “variopinto” e differenziato possibile.

Ma quanto l’estro collettivo può raggiungere un punto comune di espressione e quanto, una volta raggiunto, può essere armonico? Lo abbiamo chiesto a Daniele Aureli che, per primo, ci ha parlato del progetto.

“Ho letto da poco questa frase: “Abbiamo messo assieme una nuova cosmogonia della letteratura. Sarà una nuova Bibbia: L’ultimo libro. Tutti quelli che hanno qualcosa da dire, la diranno, là dentro. Daremo fondo alla nostra epoca. Avremo un recipiente dove versare il liquido vitale. Il mondo si potrà nutrire di questo libro per mille anni a venire. Sarà un fatto enorme; non ci occorre il genio: il genio è morto. Ci occorrono mani forti, spiriti disposti a piantarla con i fantasmi e mettere su carne.”

Questo lo ha scritto Henry Miller nel libro Tropico del Cancro, pubblicato per la prima volta nel 1934, io l’ho letto pochi giorni fa. Sembra assurdo, ma è proprio quello che stiamo cercando di fare noi. E quando dico noi includo, oltre a me e Francesco Capocci, anche tutte le persone che hanno già aderito a questo progetto folle e fuori dall’ordinario. L’obiettivo è una condivisione assoluta: creare un’ opera insieme ad altri artisti provenienti da ogni parte del mondo! Dare vita ad una collaborazione totale, grazie all’unione di più forme d’espressione. Ognuno può lasciare un messaggio, una testimonianza… E chissà, tra alcuni anni, questo progetto rimarrà il segno indelebile di un collettivo artistico. E tutto questo sta accadendo! Non cerchiamo un punto comune di espressione, vogliamo un obiettivo comune! Non so se sarà armonico o disarmonico, se sarà poetico o cinico, se sarà un po’ di tutto o un insieme di niente… ma dovrà essere qualcosa di sincero e di onesto, rispettando in modo assoluto tutti coloro che vorranno collaborare”. 

Come riuscirà, chi rielaborerà il volume, a creare una connessione logica tra le varie opere? Se una connessione logica poi c’è… 

“La connessione potrebbe non essere logica. Sarà ispirata e l’ispirazione arriva dai più diversi cassetti dell’anima. Non vogliamo mettere limiti o canalizzare gli interventi artistici, ma donare una possibilità. Le collaborazioni non avranno confini! Le porte sono e resteranno aperte a tutte le richieste provenienti da ogni nazione, in qualsiasi lingua o linguaggio, così da espandere questo progetto, creando una rete enorme, allungando e unendo le  radici di un mondo instabile. Arrivare a cento collaboratori sarebbe un bel traguardo (e ci siamo vicini)… arrivare a mille sarebbe cancellare le prime due lettere alla parola impossibile”!

Unendo molti lavori e di vario genere, secondo te, non c’è una depersonalizzazione del singolo artista?

“Assolutamente no. Il singolo è parte del tutto, e il tutto è fatto da un singolo che insieme ad un altro singolo diventa plurale. Non più io, ma noi! Ogni artista avrà a disposizione alcune pagine, uno spazio, e quello spazio prenderà vita grazie al suo intervento. Più artisti potranno collaborare insieme: il racconto di uno potrebbe essere ispirazione di un altro. E’ qui la rivoluzione, o meglio l’evoluzione”. 

Un progetto ambizioso questo, a livello internazionale, in un momento storico di grande incertezza tra i vari paesi (vuoi per motivi religiosi, politici o sociali) credi che l’arte possa essere un buon trait d’union a dimostrazione che esiste un piano in cui è possibile allineare le “divergenze conflittuali e culturali”?

“Dobbiamo avere fiducia e sperare che tutto questo sia possibile. Se non ci provassimo, avremmo perso in partenza. L’artista crea per un bisogno e se questo bisogno diventa comune, allora qualcosa accade. Il progetto è nato ad agosto del 2015; oggi, più di ieri, abbiamo deciso di andare avanti, camminando lungo una strada in direzione ostinata e contraria (come ha già detto qualcuno).  E’ l’unico modo per provare a cambiare il nostro presente”.